Le donne cambiano la Storia, cambiamo i libri di Storia.

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LE DONNE CAMBIANO LA STORIA, CAMBIAMO I LIBRI DI STORIA
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20 gennaio 2024

RICCHEZZA OFFSHORE?

 


27 agosto 2020

Gerusalemme e il Corano - Commento di Deborah Fait

Ricordo che molti anni fa, quando vivevo ancora in Italia, durante un viaggio della Federazione Italia Israele a Gerusalemme, siamo andati a visitare l'Orient House, dopo previa richiesta all'OLP che vi aveva la sede. Altri tempi, tempi lontani, comunque la villa, nel 2001, fu requisita e chiusa, tutto il materiale fu sequestrato e i gli arabi cosiddetti palestinesi, sfrattati, rimasero con tanto di naso. La chiusura con la cacciata dei rappresentanti dell'OLP da Gerusalemme fu effettuata dopo la strage compiuta dai terroristi alla pizzeria Sbarro (15 morti e decine di feriti gravi). Nel dicembre del 2008 l'Unione Europea ebbe il coraggio vergognoso di proporre a Israele di riaprirla e ridarla all'OLP. Naturalmente il rifiuto di Israele fu chiaro e conciso, educatamente incazzato. Serviva tutto l'odio europeo per Israele per avere l'ardire di fare una simile proposta.
 Perché racconto queste cose ormai finite nei ricordi lontani delle nostre lotte contro la disinformazione su Israele?
 Perché durante la nostra visita Angelo Pezzana chiese al tizio arabo che ci aveva ricevuti "Lei lo sa che Gerusalemme non è mai nominata nel Corano mentre lo è quasi 700 volte nella Torah?". Panico e qualche risatina del nostro gruppo, il tizio non rispose, balbettò qualcosa, e, dopo un paio di convenevoli, chiamò un suo aiutante, fummo velocemente congedati e accompagnati alla porta da sgherri con il mitra in mano puntato non proprio su di noi… ma puntato. Gli stessi sgherri che ci avevano accolti all'inizio sempre con le armi pronte a sparare come se un gruppo di turisti indifesi potesse costituire un pericolo. 

 Che Gerusalemme non sia mai nominata nel Corano è storia vecchia, io e molti altri ne abbiamo parlato e scritto decine di volte ma sembra che nessuno se ne renda conto, nessuno cui interessi approfondire. 
Sono due mesi che si parla della storiaccia accaduta all'Eredità e della magistrata che si è arrogata il diritto di pretendere l'abiura ufficiale di Flavio Insinna, conduttore, che aveva dato la risposta giusta "Gerusalemme è la capitale di Israele" correggendo un partecipante al quiz che aveva nominato Tel Aviv. Uno scandalo enorme ma, per fortuna, c'è stata una reazione altrettanto grande. Mi piacerebbe molto mandare a tale magistrata qualche articolo mio o di altri su Gerusalemme ma, neanche a farlo apposta, ho trovato su Facebook, postato da un amico, una specie di specchietto scarno ma proprio per questo, chiarissimo. Ecco alcuni passi:

"Gerusalemme, la terza città santa dell’Islam, da dove, secondo il Corano, il profeta Maometto è salito in cielo" Questa frase, ripetuta da tutti, non contiene alcuna verità, e viene usata dalla propaganda Araba solamente per giustificare le loro pretese sulla città, senza avere nessuna base, né storica, né religiosa. I fatti sono i seguenti:

1. Gerusalemme non è menzionata neppure una volta nel Corano.
2. Maometto è morto in Arabia e non è mai stato a Gerusalemme secondo quanto dicono tutti i testi di storia, anche Arabi, conosciuti.
3. Le città sacre all'Islam sono Mecca e Medina; infatti, quando un Musulmano prega si rivolge verso Mecca e dà le spalle a Gerusalemme…"

Quando Maometto è morto, nel 632, non esisteva nessuna Moschea fuori della penisola araba, e non poteva comunque essere in Gerusalemme, ancora sotto l'impero bizantino. Gerusalemme fu conquistata dal Califfo Omar nel 638, sei anni dopo la morte del profeta. 
Cose scritte riscritte dette e ridette ma che cadono sempre nel vuoto e c'è da chiedersi per quale motivo giri ancora la favoletta che Gerusalemme sia sacra a tre religioni. E anche ci credono! I cristiani e persino alcuni ebrei ci credono!
 Sarebbe sacra all'islam perché durante l'occupazione gli arabi hanno costruito moschee sopra il Tempio ebraico e sopra tante chiese bizantine? Se è per questo gli arabi hanno riempito anche la Spagna di moschee, alcune bellissime come l'Alhambra di Granada o la moschea di Cordova. Allora facciamo che anche la Spagna sia islamica? In effetti i musulmani la vorrebbero grazie al famoso detto "dove un musulmano posa il suo piede quella è terra islamica".
Sulle menzogne arabe si potrebbe scrivere un'enciclopedia ma pur ripetendolo centinaia, migliaia di volte non se ne esce. I media, i governi, la Chiesa cattolica sono completamente succubi dei musulmani. 
Erdogan ha trasformato in moschea Santa Sofia, qualcuno ha debolmente protestato, il Papa si è detto triste e tutto è finito là. 
Cosa succederebbe se Israele pensasse di ricostruire il suo antico Tempio nel luogo che gli compete cioè al posto delle moschee di Omar e Al Aqsa?
 Non ci voglio nemmeno pensare, qualche giornalista ogni tanto lo scrive come di un "pericolo imminente". Probabilmente gli stessi giornalisti che si sono limitati a dare del birichino al dittatore turco, quando parlano del nostro Tempio, sono pronti a darci dei fascisti guerrafondai se solo pretendiamo di poter salire a pregare su quel Monte per noi sacro. Nessuno ha mai scritto una parola sugli sputi e sulla violenza araba che accoglie ogni ebreo che riesce ad avere il permesso di salire. Giorni fa hanno cosparso di cocci di vetro il selciato che un gruppo di ebrei, bambini compresi, doveva attraversare, così se un bambino fosse inciampato e caduto si sarebbe ferito. Dovrebbe essere suolo sacro anche per loro ma non lo è, dimostrazione che non esiste nessun legame tra arabi e Monte del Tempio, se non per pretendere ciò che non è mai stato loro. La parte comica, esempio di quanto siano ottusi, è il divieto di andare a pregare a Al Aqsa per gli arabi degli Emirati, traditori della causa arabapalestinista che vuole Israele eliminato dalla cartina geografica. 

Intanto al sud di Israele i missili lanciati dai terroristi di Gaza continuano a cadere, ieri una casa di Sderot è stata divisa in due da un razzo caduto sul tetto e entrato all'interno. I miracoli di cui Israele è l'esempio fanno sì che non ci siano morti. Decine di razzi ogni giorno, non la smettono più, sono pieni di covid19 ma pensano solo a colpire Israele. Anche in Israele il virus imperversa quindi, dei due problemi, uno va eliminato. Non lo si può fare con il coronavirus perché invisibile e ancora incurabile, allora eliminiamo i missili e i palloncini incendiari che procurano danni indicibili.
Per farlo dobbiamo però eliminare i terroristi che li lanciano, tutti, dal primo all'ultimo.


22.08.2020 Gerusalemme e il Corano

http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=79185

3 novembre 2016

L'EUROPA DELLA DISCRIMINAZIONE

 di Micol Anticoli

Negli anni '30, in Europa, gli ebrei venivano discriminati e le loro attività boicottate. Fuori ai negozi del Terzo Reich, i cartelli recitavano "vietato l'ingresso ai cani e agli ebrei".

Negli anni 2000, in Europa, gli israeliani vengono discriminati e le loro attività boicottate. Alcune attività vietano agli israeliani di entrare nelle proprie strutture o si rifiutano di vendere loro prodotti di ogni genere.

Le due storie di questa settimana provengono dalla Germania e dalla Gran Bretagna. Nel primo caso, un gruppo di turisti israeliani aveva prenotato degli appartamenti tramite il famoso sito Booking.com, quando il proprietario delle strutture ha inviato loro una mail in spiegava che non volevano ospiti da Israele perché "gli appartamenti non sono per loro"; la seconda vicenda riguarda invece un rivenditore di ricambi auto dal quale un israeliano voleva acquistare un pezzo della Ford. Saputa la provenienza del cliente, l'inglese ha improvvisamente alzato il prezzo dello specchietto da 40 a 1,025 sterline, dichiarando di non aver alcuna intenzione di fare affari con Israele, ma di essere eventualmente disposto a spedire il pezzo "nello Stato di Palestina".

Storie di ordinario antisemitismo moderno, che non possono essere confuse con la critica al governo Stato ebraico o alla sua politica, in quanto si tratta di comuni cittadini riguardo ai quali questi due europei non sapevano nulla. Ma si sa, essere cittadini dello Stato ebraico è già una colpa di per sé.

La Mogherini ha dichiarato che il boicottaggio rientra nella libertà d'espressione.
Ci si sarebbe aspettato piuttosto che fosse considerato per quello che è: una forma di discriminazione che viola i valori dell'uguaglianza e dei pari diritti.

5 agosto 2016

Un mondo che cambia travolto da un pericoloso populismo

Europa 2016: tra invasione islamica e qualunquismo
Analisi di Ugo Volli  su Shalom
Data: 04 agosto 2016
Pagina: 10
Autore: Ugo Volli
Titolo: «Un mondo che cambia travolto da un pericoloso populismo»

Riprendiamo da SHALOM di luglio 2016, a pag. 10-11, con il titolo "Un mondo che cambia travolto da un pericoloso populismo", l'analisi di Ugo Volli.

L’Europa cambia, o meglio, cambia tutto quel mondo occidentale, che da trecento anni anni almeno è la forza trainante del grande progresso materiale dell’umanità. Possiamo riassumerne la storia recente in poche righe: un secolo fa la guerra mondiale ruppe l’ordine delle potenze europee, portando all’egemonia degli Stati Uniti da un lato, alla gigantesca crisi sociale che produsse i movimenti comunisti e fascisti (assai simili fra loro nel comando totalitario della politica sulla società e nella crudele determinazioni con cui perseguirono l’obiettivo della sua trasformazione radicale, distruggendo milioni di “nemici”). Il nazifascismo fu sconfitto presto, grazie alla mobilitazione internazionale e il comunismo seguì alcuni decenni dopo.
La vittoria delle democrazie è stata concomitante con una straordinaria espansione economica e tecnologica: dalla televisione a Internet, dai trasporti veloci di massa alla rivoluzione dei consumi, la nostra vita materiale è figlia di quella vittoria. Sembrava un nuovo trionfo della società liberale, della sua capacità di coinvolgere i cittadini e di promuovere l’economia, ma proprio la sua espansione al “Terzo Mondo” ha prodotto la globalizzazione, cioè una gigantesca redistribuzione di redditi e di potere, soprattutto a favore dell’Asia, i cui prezzi sono stati pagati in parte dai vecchi poteri. Chi è rimasto fuori da questa espansione, cioè l’Africa e soprattutto il mondo islamico bloccato in un’ideologia antimoderna, ha cercato di trovar rimedio nell’immigrazione, che non ha il senso però dell’accettazione dei modelli liberali vincenti, ma di un’invasione culturale. La politica europea si è illusa di poter governare e magari trarre profitto da questa ondata, presentandola come crisi umanitaria invece che come una tendenza economica favorita e in parte provocata dall’apertura dei confini dell’Unione.

La crisi socioculturale indotta da questa invasione demografica, unita alle difficoltà economiche derivanti dall’ingresso sul mercato industriale e del lavoro delle grandi nazioni asiatiche e all’aggressione esplicita del terrorismo proveniente dai grandi perdenti del processo di modernizzazione (le società musulmane) ha provocato un cambiamento fondamentale del clima dei paesi occidentali. Dalla seconda Belle Epoque a cavallo della fine del secolo scorso, rotta a tratti dal fuoco delle aggressioni terroriste, ma ottimista e sicura fino a meno di dieci anni fa (basta pensare allo slogan illuso e illusorio di Omaba “Yes, we can”) si è passati in Occidente a una profonda sfiducia nel sistema e nelle sue classi dirigenti, con la percezione della necessità di discontinuità radicali. Siamo a metà di un processo elettorale che esprime questa tensione. Ci sono state nei mesi scorsi le elezioni polacche tedesche austriache e quelle italiane; nel tempo fra la scrittura di questo articolo e la vostra lettura si svolgeranno quelle spagnole e il referendum inglese. In autunno ci sarà il referendum italiano, poi andranno alle urne gli Stati Uniti e quindi la Francia, la Germania, altri paesi ancora.
Dappertutto le vecchie èlites centriste o per lo più orientate a sinistra reggono con immensa fatica un assalto che definiscono populista, descrivendolo sempre con molto disprezzo, ma che nonostante le loro scomuniche incontra un consenso popolare vasto e crescente, anche se ancora non ha raggiunto l’egemonia. Questo “populismo” talvolta appare orientato a destra (il caso tedesco, quello austriaco e francese, la Lega da noi, Trump negli Usa) talvolta sembra agitare temi di sinistra (Syriza in Grecia, Podemos in Spagna, i 5 stelle da noi); ma sono sempre appartenenze incerte, con tratti contraddittori, e sempre con connotazioni fortemente estremiste, un linguaggio duro e senza compromessi, spesso tratti utopistici e irrazionalistici, un estremo volontarismo,l’esplicita volontà di rifiutare non solo i governanti ma in genere le élites precedenti.
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I casi che ho elencato sono assai diversi fra loro e sarebbe sbagliato darne un giudizio unico. Wilders in Olanda è tutt’altra cosa da Jobbik in Ungheria, per fare solo un esempio e metterli assieme è una operazione superficiale e propagandistica. Ma una causa comune a questi diversi movimenti c’è ed è una domanda politica di garanzia e di rinnovamento che i partiti tradizionali non riescono a soddisfare, anche perché sono legati alle loro vecchie politiche, per esempio di appoggio all’immigrazione. La questione essenziale è naturalmente che cosa verrà fuori da questo sconvolgimento della politica: un nuovo fascismo, come alcuni temono? (Ma bisogna dire che questi movimenti sono quasi del tutto esenti dalla violenza politica che invece i loro avversari praticano largamente contro di loro).
Un Occidente che finalmente capisce di doversi assumere di nuovo le sue responsabilità, innanzitutto verso i propri cittadini, ma anche verso il mondo, come molti sperano? Niente di fatto, solo una bolla di scontento, come sperano altri che predicano un rafforzamento delle politiche contro cui il “populismo” protesta, per esempio l’integrazione europea e l’”accoglienza” degli immigrati irregolari? Nessuno può dirlo oggi. Quel che è certo è che dal punto di vista ebraico questa crisi richiede molta attenzione e suscita preoccupazione. Non perché le élites di centrosinistra in crisi oggi ci fossero favorevoli, anzi l’Europa e l’America di Obama hanno espresso un antagonismo a Israele che certamente è una forma contemporanea di antisemitismo. E neppure perché i movimenti che cavalcano l’ondata del rifiuto siano antisemiti: non lo sono affatto (o tengono a dichiarare di aver rotto con tutte le ambiguità del loro passato) buona parte di quelli di destra; assai più sospetti oggi sono i movimenti di estrema sinistra che non si sottraggono mai alla demagogia palestinista.
Capire che cosa potrebbe accadere se prevalessero gli uni o gli altri, se si rompesse l’Unione Europea o ci fossero dei conflitti acuti sull’immigrazione, lo ripeto, non è possibile oggi. Ma l’esperienza ci insegna che in tempi di acute crisi economiche e sociali accade spesso che gli ebrei siano usati (magari da una parte e dall’altra) come capri espiatori. Per fortuna, rispetto a tutte le situazioni di crisi che si sono ripetute nel passato in Europa, abbiamo un’ancora di salvezza, Israele. Che è prospero, ben guidato, consapevole della propria responsabilità degli ebrei del mondo, in prospettiva certamente più sicuro dell’Europa. Fa parte della nostra responsabilità difenderlo e sostenerlo.

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redazione@shalom.it

29 aprile 2016

Esponente in Italia dell'organizzazione "Fratelli mussulmani" candidata con il Pd a Milano ?

INFORMAZIONE CORRETTA.COM  segnala
da LIBERO di  28/04/2016, a pag. 1-6

"Sorella musulmana in lista con il Pd a Milano" - il commento di Francesco Borgonovo.

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Sumaya Abdel Qader, estremista dei Fratelli musulmani candidata con il Pd a Milano.
 Spadoni e Corano nel simbolo dovrebbero rendere chiari anche ai ciechi quali siano gli obiettivi e gli strumenti della Fratellanza musulmana

L’importante è avere le idee chiare. E a quanto pare, almeno in materia di rapporti con i musulmani, il Partito democratico le ha chiarissime. Da qualche mese ha scelto una linea e la porta avanti con coerenza: fuori i moderati, massimo supporto ai fautori dell’islam politico. Per rendersene conto basta osservare attentamente quel che avviene a Milano. Nelle liste dei candidati per il Consiglio comunale il Pd ha inserito un nome piuttosto noto a chi si occupa di cose islamiche.

Si tratta di Sumaya Abdel Qader, 38 anni. Il suo volto contornato dal velo è apparso molto spesso in talk show e programmi tv, e il pubblico ha potuto apprezzare la vis polemica di questa donna, una vera pasionaria islamica. Ma chi è esattamente costei? La sua biografia ufficiale spiega che è nata a Perugia nel 1978, figlia di immigrati giordano-palestinesi. Segue un lungo elenco di titoli e di qualifiche - tra cui quello di responsabile culturale del Caim (Coordinamento delle associazioni islamiche di Milano e Brianza) guidato da Davide Piccardo - ma manca qualche particolare interessante.

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Valentina Colombo

A far notare il buco è stata Valentina Colombo, tra le massime esperte di islam italiano. «L’unico incarico che la Abdel Qader evita di indicare», spiega la studiosa, «è il più prestigioso: responsabile del dipartimento giovani e studenti della Fioe (Federation of Islamic Organizations in Europe) ovvero la principale espressione dei Fratelli musulmani in Europa (…) Per seguire le attività internazionali Sumaya vola in Finlandia, in Turchia, in Malaysia dimostrando che Milano e l’Italia sono solo una piccola parte di un microcosmo e di un progetto ben più vasto».
La domanda è: se Sumaya gode di tale peso a livello internazionale, perché non se ne fa vanto al momento di candidarsi a Milano? Beh, perché poi dovrebbe pure far luce sui suoi rapporti con i Fratelli musulmani, cioè un’organizzazione politica le cui posizioni non sono esattamente moderate. Il Pd, tuttavia, non sembra avere alcun problema con certe idee. Pierfrancesco Majorino, assessore democratico alle Politiche sociali del Comune di Milano, ha partecipato all’inizio di marzo al lancio del «progetto Aisha».

Secondo i promotori - tra cui Sumaya - si trattava di un modo di combattere la violenza sulle donne. Ma qualcosa non tornava. Perché Aisha è il nome di una moglie di Maometto, andata in sposa al Profeta in un’età compresa fra i sette e i nove anni, secondo le fonti. Il matrimonio fu consumato quando Aisha aveva dodici anni, e il suo esempio in alcuni Paesi islamici è utilizzato per giustificare il fenomeno delle «spose bambine». Strano che una associazione che combatte la violenza sulle donne abbia questo nome, no? In occasione dell’8 marzo, poi, Majorino celebrò la festa della donna offrendo la sua benedizione a un convegno intitolato «Donne e islam».

Tra gli interventi spiccava quello della solita Sumaya. Ma c’era anche quello della ricercatrice Elisa Giunchi, dal titolo eloquente: «La shari’a come strumento di emancipazione femminile? Il caso pakistano». Insomma, a quanto pare al Pd va benissimo candidare una donna legata ai Fratelli musulmani o sponsorizzare associazioni che si chiamano come la sposa minorenne di Maometto o ancora partecipare a convegni in cui si presenta la legge islamica come «strumento di emancipazione».

Però ai democratici piacciono meno altri musulmani: quelli più «moderati». Per esempio Maryan Ismail. Anche lei è in lista con il Pd a Milano, ma il partito nei suoi confronti ha avuto un atteggiamento decisamente più freddo rispetto a quello tenuto con Sumaya. Maryan è un’esponente della comunità somala, è musulmana (sufi) e da anni combatte contro l’integralismo. Suo fratello Yusuf, ambasciatore all’Onu, è stato ucciso dai jihadisti di al-Shabab nel marzo dell’anno scorso. Nel 2015, la Ismail rilasciò un’intervista in cui criticava duramente il bando del Comune di Milano per la costruzione della nuova moschea. «Quel che lascia l’amaro in bocca», disse, «è che la stragrande maggioranza dei musulmani moderati, laici, via via sono stati esclusi». E aggiunse: «Avevamo spinto sul fatto che la moschea fosse trasparente sulla parità di genere, sulla separazione fra politica e religione (…). Invece viene sempre rappresentato l’islam arabo, che ha l’egemonia, e questo non va bene». Per questa intervista, Maruan si prese una dura reprimenda da parte del segretario democratico Pietro Bussolati, che liquidò le sue dichiarazioni come opinioni personali e fuori luogo.
Chiaro, no? Per Sumaya ponti d’oro, per Maryan invece sonore bacchettate. Questa è la linea del Pd. E noi dovremmo stare tranquilli quando parlano di aprire una moschea…



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25 novembre 2015

Le vittime di terrorismo non sono tutte uguali per la stampa italica

IN 2 MESI 22 LE VITTIME ISRAELIANE DEL TERRORISMO PALESTINESE: 22 UOMINI E DONNE DIMENTICATI, UCCISI UNA SECONDA VOLTA DAI MEDIA ITALIANI
Solo negli ultimi due mesi sono morti 22 israeliani per mano del terrorismo palestinese, l'ultima ragazza aveva 21 anni. La vittima più giovane aveva 18 anni, mentre la più anziana 78 anni. Un bollettino sconvolgente per un paese civile e occidentale come Israele, per il quale la morte è e continua ad essere considerata una tragedia e non una cultura. Nel nostri telegiornali però, nei nostri quotidiani, continuiamo a leggere di "morti palestinesi", mentre le vittime israeliane scompaiono in qualche angolo degli articoli o dei servizi. Si continua con l'ignobile pratica di evidenziare le uccisioni dei terroristi ponendole sullo stesso piano delle morti delle vittime, o addirittura in evidenza rispetto a queste. Scrivere "morto un palestinese" non specificando che si tratta di un terrorista e ponendo la notizia in primo piano rispetto all'attentato compiuto ai danni di uno o più israeliani non è solo pessima informazione, è una pratica infame
...>>
LEGGI E COMMENTA SULLA PAGINA FACEBOOK di PROGETTO DREYFUS

28 ottobre 2015

Facebook ignora gli incitamenti alla violenza....

FACEBOOK IGNORA L'INCITAMENTO ALLA VIOLENZA, GLI ISRAELIANI GLI FANNO CAUSA
Una class action contro Facebook per accusare il social media più famoso al mondo di connivenza con coloro che incitano alla violenza contro gli ebrei. E’ questa la mossa scelta da circa ventimila israeliani che hanno presentato alla Corte Suprema dello Stato di New York un dossier in cui viene sottolineata la negligenza della piattaforma web nel rimuovere i post di incitamento alla violenza. Inoltre secondo i querelanti l’algoritmo di Facebook connetterebbe i fomentatori agli esecutori materiali incoraggiando ulteriormente gli attacchi con coltello contro civili israeliani. Basta una breve ricerca tra i profili dei leader politici e religiosi palestinesi per imbattersi in esplicite esortazioni all’omicidio di ebrei; in alcuni casi vengono addirittura offerte istruzioni precise su come farlo al meglio, ad esempio attraverso disegni anatomici in cui sono segnalate le parti del corpo umano da colpire durante gli accoltellamenti per ottenere il migliore risultato possibile
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14 agosto 2015

notizie da http://siliconwadi.it/

La Turchia, i Curdi e l'Isil

riprendo integralmente da Informazione Corretta  13.08.2015

Turchia/Curdi: le politiche sbagliate di Usa e UE
Analisi di Gian Micalessin, Carlo Panella

Testata:Il Giornale-Il Foglio
Autore: Gian Micalessin-Carlo Panella
Titolo: «Così Turchia e UE innescano la bomba che ci distruggerà-Pax curda»

Riprendiamo dal GIORNALE e dal FOGLIO due articoli sulla politica della Turchia di Erdogan, rivelatori di come il sultano turco stia in realtà schierato dalla parte del terrorismo musulmano. Si possono mettere in evidenza le differenze fra le diverse anime curde, come fa Carlo Panella, ma è indubbio che i curdi stanno lottando da soli contro il terrorismo, lasciati soli dalla inetta e pericolosa politica americana.

Il Giornale-Gian Micalessin: " Così Turchia e UE innescano la bomba che ci distruggerà "

Chi si ostina a chiamarla tragedia apra gli occhi. Quella dei migranti è diventata una guerra. Una guerra combattuta contro di noi dalla Turchia e dai suoi alleati della Fratellanza Musulmana. Tra cui quella Libia in mano ad una coalizione islamista che l'ha trasformata nella cornucopia della migrazione illegale. Una guerra combattuta non a colpi di bombe, ma a raffiche di disgraziati mandati a spiaggiarsi sulle coste dell'Italia e della Grecia. Sotto gli occhi - più indifferenti che impotenti - dell'Unione Europea e di un'Alleanza Atlantica di cui Ankara continua - impropriamente - a far parte. L'arrivo, dall'inizio dell'anno, di 124mila migranti sulle isole greche di Lesbos, Chios, Kos e Samos è la dimostrazione più evidente di questa nuova guerra. Una dimostrazione quasi invereconda dal momento che la marea umana - e la macchina criminale che la governa - non sono, come succede in Libia, il frutto di una nazione allo sbando. Lo tsunami migratorio che rischia di trascinare a fondo una Grecia già spossata dalla crisi economica si dispiega da una Turchia in piena forma bellica e strategica. Una Turchia impegnata a bombardare i territori curdi in Siria ed in Iraq e pronta a mobilitare 18mila soldati per creare una zona cuscinetto profonda 30 chilometri e lunga cento alla frontiera con la Siria. Una zona da cui partiranno nuovi profughi visto che curdi e cristiani dovranno abbandonarla per far posto ai ribelli islamisti, veri manutentori del nuovo ordine turco.
Eppure la Turchia del presidente Recep Tayyp Erdogan, così efficiente nel far valere le proprie ragioni strategiche, non muove un dito per bloccare i trafficanti di uomini che operano indisturbati a Bodros, Izmir e Canakkale, le città costiere turche da cui partono per la Grecia una media di mille esseri umani a notte.

Ancor più incredibile è, però, il sopito stupore con cui l'Unione Europea guarda al nuovo esodo. Quei migranti approdati in Grecia non sono i figli di un'imprevista avversità cosmica, ma l'avanguardia del milione e 800mila profughi siriani accampati da quattro anni in territorio turco. Un'inevitabile conseguenza delle strategie di Ankara rivelatasi però tanto costosa da mantenere quanto sgradita all'opinione pubblica turca. Proprio per questo Ankara si guarda bene dal bloccare le organizzazioni criminali impegnate a trasferirli surrettiziamente in Grecia ed in Europa.

Del resto nulla di nuovo. Nel 2014 la Turchia di Erdogan assistette per mesi, senza muovere un dito, alla partenza di enormi bastimenti con a bordo migliaia di migranti salpati dai porti turchi e diretti verso l'Italia. E non ha mai esercitato alcuna pressione su quella coalizione islamista al potere a Tripoli- di cui si dichiara madrina e protettrice - per indurla bloccare i lucrosi traffico di umani in partenza da Tripoli e dintorni. In fondo perché farlo? Le rotte della Libia e dell'Egeo contribuiscono, alla fine, a trasferire in Europa nuovi fedeli islamici che la Fratellanza Musulmana, in cui Erdogan si riconosce, potrà utilizzare per indebolire dall'interno la fortezza Europa.

 Eppure nessuno sembra accorgersene. Come nessuno sembra più ricordarsi dei 5000 militanti islamisti partiti dall'Europea e transitati dalle frontiere turche per raggiungere - sotto gli occhi compiacenti di Ankara - le basi dello Stato Islamico in Iraq e Siria. Basi da cui possono ora agevolmente rientrare sfruttando la nuova rotta dall'Egeo. Pronti, dopo un passaggio a Kos o Lesbos, ad operare e colpire nel cuore di un'Europa sempre più distratta, imbelle ed indifferente.

Il Foglio-Carlo Panella: " Pax Curda "

 Roma. Abdullah Oçalan ha preso una netta (e clamorosa) distanza dal suo Pkk, impegnato in una offensiva di attentati contro la Turchia, che ha di fatto sconfessata. Ha rinsaldato il suo asse con i curdi iracheni e ha rilanciato la sua proposta di pacificazione al presidente turco Erdogan. Il tutto, secondo gli abituali moduli criptici del linguaggio e della tecnica politica anatolica. Prigioniero a vita nel carcere dell’isola di Imrali, una sorta di Alcatraz nel Bosforo, Oçalan, col sicuro assenso dei servizi segreti turchi, ha inviato due giorni fa il suo fidatissimo plenipotenziario Amin Penjweni a Erbil per concordare col premier curdo Nechirvan Barzani una linea comune a fronte di un Pkk che palesemente non ne riconosce più la leadership ed è sotto il comando settario e avventurista di Fehman Huseyin.

 Le dichiarazioni rese alla stampa dal premier curdo iracheno (ovviamente il fiduciario di Oçalan non ha parlato) danno il senso della manovra in atto e sono di fatto di condanna netta dell’offensiva del Pkk, sino al punto che Barzani, come già suo padre Masud, presidente del Kurdistan, non ha condannato affatto i bombardamenti aerei turchi dei santuari del Pkk (che pure colpiscono il suo Kurdistan), ma si è limitato a deprecare le uccisioni dei civili curdi. Non solo, Barzani ha nettamente attribuito al solo Pkk la responsabilità della fine della tregua e quindi la colpa della ripresa della guerra con la Turchia: “Purtroppo, i bombardamenti turchi sono conseguenza della decisione provocatoria del presidente della Comunità del Kurdistan (KCK, l’organo amministrativo creato dal Pkk) di dichiarare terminato il processo di cessate il fuoco e di pace tra la Turchia e il PKK”.
Il tutto in un contesto e in una successione dei fatti inequivocabili.
La dichiarazione di ripresa unilaterale delle ostilità contro la Turchia è infatti avvenuta dopo che il Pkk ha incredibilmente attribuito al governo di Ankara la responsabilità dell’attentato di Suruç (32 giovani volontari curdo turchi dilaniati) – messo in atto però da un kamikaze dell’Isis – e invece di menare un’offensiva contro l’Isis in Siria, ha iniziato a uccidere poliziotti e soldati turchi. Una strategia avventurista frontalmente criticata nei giorni scorsi da Masud Barzani. Nechirvan Barzani ha poi duramente condannato ancora una volta il demenziale attentato del Pkk contro l’oleodotto che trasporta il petrolio di Kirkuk in Turchia. Attentato sul suolo del Kurdistan iracheno che colpisce gravemente le risorse economiche del Kurdistan iracheno, unico presidio affidabile contro l’Isis. Episodio marginale, ma che rispecchia bene l’avventurismo di matrice marxista leninista del Pkk, che considera come avversari anche i curdi iracheni, e che si è impiantato con le sue basi militari sui monti Qandil, tentando di allargarsi anche in altre zone, tanto da aver spinto il governo del Kurdistan iracheno a costruire un lungo muro (ufficialmente destinato a bloccare i contrabbandieri) per isolare questa fastidiosa e turbolenta enclave. Questa netta presa di distanza di Barzani – chiaramente concordata con l’emissario di Oçalan – mira a un obiettivo evidente, enucleato dal premier curdo iracheno: “Riprendere gli sforzi in modo che entrambe le parti tornino al tavolo dei negoziati e riprendano il processo di pace, da dove è stato interrotto. Faremo di tutto per fermare la guerra tra Turchia e Pkk”.
Dunque, le analisi che provengono dal governo curdo, che rappresenta l’unico presidio democratico e affidabile della Mesopotamia, nonché unico bastione contro l’Isis, smentiscono platealmente e addirittura ribaltano la versione che impera sui media occidentali politically correct, che attribuiscono la responsabilità della ripresa di questa sanguinaria guerra al “perfido” Tayyp Erdogan. Naturalmente – e non per la prima volta – l’avventurismo militarista del Pkk, da cui da anni ha preso nette distanze lo stesso Oçalan, non è affatto sgradito al presidente turco. Una guerra a bassa intensità contro il Pkk gli torna oggi estremamente utile per tentare una coalizione col reazionario e iper nazionalista Mhp e soprattutto col laico Chp (che ha sempre avversato per un dogmatico kemalismo la road map di pacificazione col Pkk, fortemente voluta sino a tre settimane fa da Erdogan). Ma gli torna ancor più utile nel caso che questa coalizione non si faccia e che quindi la Turchia torni alle urne a settembre. Presentarsi all’elettorato col paese in guerra contro il Pkk e scosso dagli attentati è indubbiamente uno scenario gradito nel faraonico palazzo presidenziale di Ankara. Anche perché Erdogan ha appena avuto la riprova che Oçalan – e soprattutto il governo del Kurdistan iracheno – sono di fatto più vicini alle sue posizioni che a quelle dei dirigenti avventuristi del Pkk.

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