Le donne cambiano la Storia, cambiamo i libri di Storia.

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5 agosto 2016

Un mondo che cambia travolto da un pericoloso populismo

Europa 2016: tra invasione islamica e qualunquismo
Analisi di Ugo Volli  su Shalom
Data: 04 agosto 2016
Pagina: 10
Autore: Ugo Volli
Titolo: «Un mondo che cambia travolto da un pericoloso populismo»

Riprendiamo da SHALOM di luglio 2016, a pag. 10-11, con il titolo "Un mondo che cambia travolto da un pericoloso populismo", l'analisi di Ugo Volli.

L’Europa cambia, o meglio, cambia tutto quel mondo occidentale, che da trecento anni anni almeno è la forza trainante del grande progresso materiale dell’umanità. Possiamo riassumerne la storia recente in poche righe: un secolo fa la guerra mondiale ruppe l’ordine delle potenze europee, portando all’egemonia degli Stati Uniti da un lato, alla gigantesca crisi sociale che produsse i movimenti comunisti e fascisti (assai simili fra loro nel comando totalitario della politica sulla società e nella crudele determinazioni con cui perseguirono l’obiettivo della sua trasformazione radicale, distruggendo milioni di “nemici”). Il nazifascismo fu sconfitto presto, grazie alla mobilitazione internazionale e il comunismo seguì alcuni decenni dopo.
La vittoria delle democrazie è stata concomitante con una straordinaria espansione economica e tecnologica: dalla televisione a Internet, dai trasporti veloci di massa alla rivoluzione dei consumi, la nostra vita materiale è figlia di quella vittoria. Sembrava un nuovo trionfo della società liberale, della sua capacità di coinvolgere i cittadini e di promuovere l’economia, ma proprio la sua espansione al “Terzo Mondo” ha prodotto la globalizzazione, cioè una gigantesca redistribuzione di redditi e di potere, soprattutto a favore dell’Asia, i cui prezzi sono stati pagati in parte dai vecchi poteri. Chi è rimasto fuori da questa espansione, cioè l’Africa e soprattutto il mondo islamico bloccato in un’ideologia antimoderna, ha cercato di trovar rimedio nell’immigrazione, che non ha il senso però dell’accettazione dei modelli liberali vincenti, ma di un’invasione culturale. La politica europea si è illusa di poter governare e magari trarre profitto da questa ondata, presentandola come crisi umanitaria invece che come una tendenza economica favorita e in parte provocata dall’apertura dei confini dell’Unione.

La crisi socioculturale indotta da questa invasione demografica, unita alle difficoltà economiche derivanti dall’ingresso sul mercato industriale e del lavoro delle grandi nazioni asiatiche e all’aggressione esplicita del terrorismo proveniente dai grandi perdenti del processo di modernizzazione (le società musulmane) ha provocato un cambiamento fondamentale del clima dei paesi occidentali. Dalla seconda Belle Epoque a cavallo della fine del secolo scorso, rotta a tratti dal fuoco delle aggressioni terroriste, ma ottimista e sicura fino a meno di dieci anni fa (basta pensare allo slogan illuso e illusorio di Omaba “Yes, we can”) si è passati in Occidente a una profonda sfiducia nel sistema e nelle sue classi dirigenti, con la percezione della necessità di discontinuità radicali. Siamo a metà di un processo elettorale che esprime questa tensione. Ci sono state nei mesi scorsi le elezioni polacche tedesche austriache e quelle italiane; nel tempo fra la scrittura di questo articolo e la vostra lettura si svolgeranno quelle spagnole e il referendum inglese. In autunno ci sarà il referendum italiano, poi andranno alle urne gli Stati Uniti e quindi la Francia, la Germania, altri paesi ancora.
Dappertutto le vecchie èlites centriste o per lo più orientate a sinistra reggono con immensa fatica un assalto che definiscono populista, descrivendolo sempre con molto disprezzo, ma che nonostante le loro scomuniche incontra un consenso popolare vasto e crescente, anche se ancora non ha raggiunto l’egemonia. Questo “populismo” talvolta appare orientato a destra (il caso tedesco, quello austriaco e francese, la Lega da noi, Trump negli Usa) talvolta sembra agitare temi di sinistra (Syriza in Grecia, Podemos in Spagna, i 5 stelle da noi); ma sono sempre appartenenze incerte, con tratti contraddittori, e sempre con connotazioni fortemente estremiste, un linguaggio duro e senza compromessi, spesso tratti utopistici e irrazionalistici, un estremo volontarismo,l’esplicita volontà di rifiutare non solo i governanti ma in genere le élites precedenti.
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I casi che ho elencato sono assai diversi fra loro e sarebbe sbagliato darne un giudizio unico. Wilders in Olanda è tutt’altra cosa da Jobbik in Ungheria, per fare solo un esempio e metterli assieme è una operazione superficiale e propagandistica. Ma una causa comune a questi diversi movimenti c’è ed è una domanda politica di garanzia e di rinnovamento che i partiti tradizionali non riescono a soddisfare, anche perché sono legati alle loro vecchie politiche, per esempio di appoggio all’immigrazione. La questione essenziale è naturalmente che cosa verrà fuori da questo sconvolgimento della politica: un nuovo fascismo, come alcuni temono? (Ma bisogna dire che questi movimenti sono quasi del tutto esenti dalla violenza politica che invece i loro avversari praticano largamente contro di loro).
Un Occidente che finalmente capisce di doversi assumere di nuovo le sue responsabilità, innanzitutto verso i propri cittadini, ma anche verso il mondo, come molti sperano? Niente di fatto, solo una bolla di scontento, come sperano altri che predicano un rafforzamento delle politiche contro cui il “populismo” protesta, per esempio l’integrazione europea e l’”accoglienza” degli immigrati irregolari? Nessuno può dirlo oggi. Quel che è certo è che dal punto di vista ebraico questa crisi richiede molta attenzione e suscita preoccupazione. Non perché le élites di centrosinistra in crisi oggi ci fossero favorevoli, anzi l’Europa e l’America di Obama hanno espresso un antagonismo a Israele che certamente è una forma contemporanea di antisemitismo. E neppure perché i movimenti che cavalcano l’ondata del rifiuto siano antisemiti: non lo sono affatto (o tengono a dichiarare di aver rotto con tutte le ambiguità del loro passato) buona parte di quelli di destra; assai più sospetti oggi sono i movimenti di estrema sinistra che non si sottraggono mai alla demagogia palestinista.
Capire che cosa potrebbe accadere se prevalessero gli uni o gli altri, se si rompesse l’Unione Europea o ci fossero dei conflitti acuti sull’immigrazione, lo ripeto, non è possibile oggi. Ma l’esperienza ci insegna che in tempi di acute crisi economiche e sociali accade spesso che gli ebrei siano usati (magari da una parte e dall’altra) come capri espiatori. Per fortuna, rispetto a tutte le situazioni di crisi che si sono ripetute nel passato in Europa, abbiamo un’ancora di salvezza, Israele. Che è prospero, ben guidato, consapevole della propria responsabilità degli ebrei del mondo, in prospettiva certamente più sicuro dell’Europa. Fa parte della nostra responsabilità difenderlo e sostenerlo.

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