1) A proposito di Italicum. Il legislatore può, attraverso il sistema elettorale, mirare ad ottenere la massima stabilità del Governo, ma ciò non può passare attraverso un’eccessiva compressione dei principi di rappresentatività delle due Camere, di uguaglianza e di personalità del voto.
2) Chi blocca volontariamente con la propria auto il passaggio di un’altra auto commette il reato di violenza privata.
3)Beni immobili. In caso di contrasto tra rogito e planimetrie allegate prevale la descrizione dell’immobile nell’atto di acquisto oppure la rappresentazione grafica delle planimetrie?
4) La Cambiale è sempre protestabile per il mancato pagamento alla data prefissata anche se nel frattempo è stata oggetto di sequestro
5) La lavoratrice madre può essere licenziata solo per colpa grave.
FRONTE
1) A proposito di Italicum. Il legislatore può, attraverso il sistema elettorale, mirare ad ottenere la massima stabilità del Governo, ma ciò non può passare attraverso un’eccessiva compressione dei principi di rappresentatività delle due Camere, di uguaglianza e personalità del voto.
Diversi Tribunali (Messina, Torino, Perugia, Trieste e Genova) sollevano numerose questioni di legittimità costituzionale su alcuni articoli della legge elettorale del 2015, il cosiddetto Italicum, che modifica le norme per l’elezione dei deputati e dei senatori.
Quasi tutte le questioni sono dichiarate inammissibili o perché formulate in difformità dalle regole che governano il processo sulla costituzionalità delle leggi, o perché infondate.
Tuttavia, due questioni, sollevate da quasi tutti i Tribunali in termini sostanzialmente identici, sono attentamente valutate dalla Corte costituzionale che nell’esaminarle ricorda la piena legittimità dello scrutinio di una legge elettorale non ancora applicata in considerazione del fatto che già l’incertezza sulla portata del diritto di voto costituisce una “lesione giuridicamente rilevante”.
Le due questioni riguardano :
1) le norme che prevedono che, se nessuna lista di candidati raggiunge, al primo turno, il 40% dei voti validi si procede al ballottaggio tra quelle che hanno superato la soglia del 3% e hanno ottenuto, sempre al primo turno, la maggioranza dei voti a livello nazionale;
2) la norma che stabilisce che un deputato capolista, con nominativo “bloccato”, poiché deciso dal partito che lo candida, se viene eletto in più collegi plurinominali può optare discrezionalmente per quello che preferisce, non essendo stati fissati nella legge criteri di scelta oggettivi.
I Tribunali di Torino, Perugia, Trieste e Genova ritengono che le prime norme (punto 1) siano incostituzionali perché la lista che risulterebbe vincitrice dal turno di ballottaggio non sarebbe realmente rappresentativa dei voti espressi dal corpo elettorale. Infatti, il legislatore si è limitato a prevedere che al ballottaggio accedano solo le due liste più votate (purché ottengano il 3 per cento dei voti validi espressi) e il premio verrebbe poi attribuito a chi ottiene il 50 per cento più uno dei voti validi espressi, senza considerare l’astensione dal voto, che potrebbe essere anche notevole.
Inoltre, gli stessi Tribunali sostengono che la mancata previsione di un criterio oggettivo di scelta a seguito della elezione del copolista produrrebbe una distorsione del voto danneggiando il principio di uguaglianza e di libertà di voto (punto 2). Infatti, la scelta effettuata dal capolista vincitore in più collegi (che è scelto dal partito) potrebbe riguardare un collegio in cui un candidato “non bloccato” ha ottenuto più voti di lui, oppure, al contrario, la stessa scelta potrebbe assegnare il seggio non voluto ad un candidato che ne ha ottenuti molti di meno.
La Corte costituzionale accoglie le questioni di legittimità costituzionale sollevate in merito alle norme indicate ai punti 1) e 2) ed afferma che:
- con riferimento al primo gruppo di norme, è noto che il legislatore può prevedere un premio di maggioranza anche in un sistema elettorale ispirato al criterio del riparto proporzionale di seggi, perché non è il turno di ballottaggio tra liste in sé e per sé considerato a risultare costituzionalmente illegittimo;
- tuttavia, è necessario che il premio di maggioranza non provochi un’eccessiva sovra-rappresentazione della lista che lo ottiene (che, di fatto, ha avuto solo la maggioranza relativa dei voti). In sostanza, il legislatore deve rispettare il carattere rappresentativo della Camera e del Senato, nonché il principio di uguaglianza del voto;
- le disposizioni del cd “Italicum” non garantiscono il rispetto di tali principi, perché : prevedono che una lista possa accedere al turno di ballottaggio pur avendo ottenuto, al primo turno, un consenso scarso, e prevedono che possa persino ottenere il premio, vedendo più che raddoppiati i seggi che avrebbe ottenuto sulla base dei voti effettivamente ricevuti al primo turno.
Per la Corte Costituzionale è quindi legittimo mirare alla stabilità di Governo, che rappresenta un interesse costituzionale, ma non sacrificando eccessivamente i principi costituzionali di rappresentatività e di uguaglianza del voto, e trasformando artificialmente una lista che vanta un consenso limitato, e magari anche minimo, in maggioranza assoluta.
Per quanto riguarda l’elezione del capolista eletto in più collegi, la sua preferenza del tutto soggettiva condiziona non solo il potere di scegliere il proprio collegio d’elezione, ma anche, indirettamente, il potere di designare il rappresentante di un altro collegio elettorale, secondo una logica che può condizionare l’effetto utile dei voti di preferenza espressi dagli elettori.
Ben potrebbe infatti accadere che un candidato che abbia avuto molte preferenze sia surclassato da uno o più candidati in altri collegi con meno preferenze. In altri termini, la scelta soggettiva del collegio affida al capolista la decisione sul destino del voto di preferenza espresso dall’elettore nel collegio prescelto, determinando una distorsione del risultato.
VERSO
1) A proposito di Italicum. Il legislatore può, attraverso il sistema elettorale, mirare ad ottenere la massima stabilità del Governo, ma ciò non può passare attraverso un’eccessiva compressione dei principi di rappresentatività delle due Camere, di uguaglianza e personalità del voto.
Corte Costituzionale, sentenza 9 febbraio 2017, n. 35.
Nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, 18-bis, comma 3, primo periodo, 19, comma 1, primo periodo, 83, commi 1, 2, 3, 4 e 5, 83-bis, comma 1, numeri 1), 2), 3) e 4), 84, commi 1, 2 e 4, e 85 del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati), come sostituiti, modificati e/o aggiunti, rispettivamente, dall’art. 2, commi 1, 10, lettera c), 11, 25, 26 e 27 della legge 6 maggio 2015, n. 52 (Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati); degli artt. 16, comma 1, lettera b), e 17 del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica), come novellati dall’art. 4, commi 7 e 8, della legge 21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica); e degli artt. 1, comma 1, lettere a), d), e), f) e g), e 2, comma 35, della legge n. 52 del 2015, promossi dai Tribunali ordinari di Messina, Torino, Perugia, Trieste e Genova con ordinanze, rispettivamente, del 17 febbraio, del 5 luglio, del 6 settembre, del 5 ottobre e del 16 novembre 2016, iscritte ai nn. 69, 163, 192, 265 e 268 del registro ordinanze 2016 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 14, 30, 41 e 50, prima serie speciale, dell'anno 2016.
Visti gli atti di costituzione di V.P. e altri, di L.P.C. e altri, di M.V. e altri, di F.S. e altri, e di S.A. e altri, nonché gli atti di intervento di F.C.B. e altri, di C.T. e altri, di S.M., di F.D.M. e altro (intervenuti nel giudizio iscritto al n. 163 del registro ordinanze 2016 con due atti, il primo nei termini e il secondo fuori termine), del Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e la tutela dei diritti di utenti e consumatori) e altro (intervenuti nei termini nei giudizi iscritti ai nn. 265 e 268 del registro ordinanze 2016, e fuori termine nei giudizi iscritti ai nn. 69 e 163 del registro ordinanze 2016), di V.P., di E.P. e altra, di M.M. ed altri e del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell’udienza pubblica del 24 gennaio 2017 il Giudice relatore Nicolò Zanon; uditi gli avvocati Enzo Paolini per E.P. e altra, per F.C.B. e altri, per S.M. e per V.P., Claudio Tani per C.T. e altri, Carlo Rienzi per il Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e la tutela dei diritti di utenti e consumatori) e altro, Vincenzo Palumbo e Giuseppe Bozzi per V.P. e altri, Roberto Lamacchia per L.P.C. e altri, Michele Ricciardi per M.V. e altri, Felice Carlo Besostri per F.S. e altri e per S.A. e altri, Lorenzo Acquarone e Vincenzo Paolillo per S.A. e altri, e gli avvocati dello Stato Paolo Grasso e Massimo Massella Ducci Teri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto 1.– Con ordinanza del 17 febbraio 2016 (reg. ord. n. 69 del 2016), il Tribunale ordinario di Messina ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera f), della legge 6 maggio 2015, n. 52 (Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati) e degli artt. 1, comma 2, e 83, commi 1, 2, 3, 4 e 5, del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati), questi ultimi come modificati dall’art. 2, commi 1 e 25, della legge n. 52 del 2015, per violazione degli artt. 1, primo e secondo comma, 3, primo e secondo comma, 48, secondo comma, 49, 51, primo comma, e 56, primo comma, della Costituzione, e dell’art. 3 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ratificato e reso esecutivo con legge 4 agosto 1955, n. 848; deludito nell’udienza pubblica del 24 gennaio 2017 il Giudice relatore Nicolò Zanon; uditi gli avvocati Enzo Paolini per E.P. e altra, per F.C.B. e altri, per S.M. e per V.P., Claudio Tani per C.T. e altri, Carlo Rienzi per il Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e la tutela dei diritti di utenti e consumatori) e altro, Vincenzo Palumbo e Giuseppe Bozzi per V.P. e altri, Roberto Lamacchia per L.P.C. e altri, Michele Ricciardi per M.V. e altri, Felice Carlo Besostri per F.S. e altri e per S.A. e altri, Lorenzo Acquarone e Vincenzo Paolillo per S.A. e altri, e gli avvocati dello Stato Paolo Grasso e Massimo Massella Ducci Teri per il Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell’udienza pubblica del 24 gennaio 2017 il Giudice relatore Nicolò Zanon; uditi gli avvocati Enzo Paolini per E.P. e altra, per F.C.B. e altri, per S.M. e per V.P., Claudio Tani per C.T. e altri, Carlo Rienzi per il Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e la tutela dei diritti di utenti e consumatori) e altro
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FRONTE
2) Chi blocca volontariamente con la propria auto il passaggio di un’altra auto commette il reato di violenza privata.
Una Signora va a trovare la sorella che vive in una strada senza sbocco, usata dai residenti anche come parcheggio. Quando deve andarsene si trova impossibilitata a farlo poiché viene bloccata in auto, con i propri figli, dalla proprietaria dell’unica casa adiacente, indispettita dall’occupazione provvisoria del posto macchina lungo la via.
Tale proprietaria posiziona la propria auto in modo da ostruire il passaggio ed impedisce alla Signora di allontanarsi confermando anche a voce l’intenzione di non lasciarla andare via, malgrado le scuse ricevute ed il fatto che vi fosse comunque un altro posto libero dove poter parcheggiare la macchina.
Tale ostilità si era già manifestata in precedenti situazioni di tensione tra vicini di casa e perciò viene richiesto l’intervento dei Carabinieri e l’auto viene spostata poco prima del loro arrivo.
La proprietaria della casa viene denunciata ed imputata, davanti al Tribunale di Ascoli Piceno, per i reati di violenza privata e minacce.
Il Tribunale, in base alle prove raggiunte in dibattimento accerta la colpevolezza dell’imputata per il reato di violenza privata, mentre la assolve dall’imputazione per minacce. E ciò, in quanto:
il reato di violenza privata consiste in un comportamento che comprime la libertà di determinazione del soggetto passivo, creando alla persona il danno nella costrizione di subire quanto deciso da altri;
il reato di minacce, invece, non può trovare applicazione poiché le frasi “ti blocco”, “ti faccio vedere io” vanno messe in relazione al contesto nel quale sono state pronunciate ed il male ingiusto prospettato è solo il comportamento violento.
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VERSO
2) Chi blocca volontariamente con la propria auto il passaggio di un’altra auto commette il reato di violenza privata.
Sentenza Tribunale di Ascoli Piceno, 5 gennaio 2017
Con decreto della Procura della Repubblica, F.E. veniva citata davanti al Tribunale di Ascoli Piceno per rispondere del reato di cui in epigrafe. Il giudizio si svolgeva alla presenza dell'imputata. All'udienza del 03.11.15 interveniva costituzione di parte civile nell'interesse di T.C.; successivamente si procedeva all'ammissione delle prove. Esaurita l'assunzione delle prove, il P.M., il Difensore della parte civile e il Difensore dell'imputata formulavano ed illustravano le rispettive conclusioni in epigrafe trascritte.
Motivi della decisione: Gli elementi acquisiti in dibattimento offrono la prova, piena ed inequivocabile, della responsabilità penale dell'imputata in ordine al reato alla stessa ascritto nel capo a) dell'imputazione; diversamente per la violazione riportata nel capo b) non sussistono sufficienti elementi per attestare la sussistenza della responsabilità penale della F.. Tale convinzione nasce dalla valutazione delle dichiarazioni assunte nel corso del dibattimento.
Per il reato di cui all'art 610 c.p. il concetto di violenza assume una valenza più ampia, comprensiva anche della violenza diretta alle cose o a soggetti diversi dalla vittima; ugualmente anche la minaccia comprende un ventaglio applicativo molto ampio, che prescinde quindi dal tipo di mezzi utilizzati o dal grado della minacci stessa. In tale contesto normativo di portata più estesa deve essere valutata la condotta della F.. Il fatto accaduto il nove gennaio del 2014 è stato confermato da tutti i numerosi testi escussi, seppur evidenziando elementi differenti. Il contesto è quello dei rapporti di vicinato ed è caratterizzato, per quanto emerso in dibattimento, da situazioni di attrito preesistenti legate proprio al citato rapporto tra l'imputata e la sorella della persona offesa.
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FRONTE
3) Beni immobili. In caso di contrasto tra rogito e planimetrie allegate prevale la descrizione dell’immobile nell’atto di acquisto oppure la rappresentazione grafica in planimetria?
Due coppie di coniugi acquistano due appartamenti facenti parte di un fabbricato il cui esclusivo proprietario è il Comune di Sarzana. Successivamente il Comune realizza, unilateralmente, alcuni locali da destinare agli sfrattati all’interno del porticato sito al piano terra.
I coniugi chiedono al Tribunale la condanna del Comune alla rimozione di tali abitazioni e il ripristino dell’originario porticato tenuto conto della sua natura condominiale. Il Tribunale respinge la richiesta dei coniugi i quali si rivolgono alla Corte di Appello di Genova che accoglie le loro ragioni.
Il Comune di Sarzana impugna la sentenza presentando ricorso avanti la Corte di Cassazione.
La Corte, esamina la questione ed in particolare le planimetrie allegate all’atto di acquisto dell’immobile da parte del Comune e ricorda che:
- Le planimetrie allegate ai contratti che riguardano gli immobili fanno parte integrante del contratto se i contraenti si siano riferite ad esse nella descrizione del bene;
- tali planimetrie costituiscono un importante strumento per l’interpretazione del contratto;
- nella ipotesi di una difformità tra la descrizione dell’immobile e la sua rappresentazione grafica spetta al giudice valutare la corrispondenza di tali documenti all’effettiva e concreta volontà delle parti ricavabile dall’esame complessivo del contratto.
La Corte da quindi ragione alla coppia di coniugi poiché sulla base della planimetria allegata al contratto e della perizia dell’ufficio tecnico comunale il porticato in questione è da intendersi come bene condominiale. La Corte afferma inoltre che, in materia di condominio, per stabilire se un bene sia o meno da ritenersi di uso comune occorre riferirsi all’atto costitutivo del condominio, oppure all’atto di trasferimento dell’immobile dall’originario unico proprietario ad altro soggetto, e verificare se da esso emerge la volontà di riservare a uno o più condomini l’esclusiva proprietà del bene. E quindi nel caso in cui il bene non sia riservato ad alcuno il bene è di uso comune.
VERSO
3) Beni immobili. In caso di contrasto tra rogito e planimetrie allegate prevale la descrizione dell’immobile nell’atto di acquisto oppure la rappresentazione grafica in planimetria?
Cassazione, Sezione II, n. 23256, 15.11.2016
"Il Comune di Sarzana e' proprietario, per acquisto dall'originario costruttore, dell'intero fabbricato posto in via dei (OMISSIS), ad eccezione di due appartamenti che il medesimo costruttore aveva trattenuto per se' e successivamente ha venduto, uno, ai signori (OMISSIS) e (OMISSIS) e, l'altro, ai signori (OMISSIS) e (OMISSIS).
Nel porticato posto al piano terra del suddetto fabbricato il Comune ha realizzato delle unita' abitative da destinare agli sfrattati. I condomini suddetti hanno chiesto al tribunale di La Spezia, per quanto qui ancora interessa, la condanna del Comune alla rimozione di tali unita' abitative e alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi, deducendo la natura condominiale del porticato in cui dette unita' erano state realizzate.
La domanda dei condomini, disattesa in primo grado, e' stata accolta dalla corte d'appello di Genova, la quale ha ritenuto che la presunzione di condominialita' del porticato ex articolo 1117 c.c. risultasse vinta dal tenore letterale del titolo di acquisto del comune, nel quale, nella descrizione del piano terreno dell'immobile trasferito, si dava atto della presenza di un portico (senza precisare che avesse natura condominiale), ma si faceva riferimento ("il tutto come meglio individuato") ad una planimetria allegata all'atto, sottoscritta dalle parti e dal notaio rogante, in cui detto portico veniva definito come "portico condominiale scala 8 mq 144,85". La corte genovese ha altresi' argomentato che nella perizia dell'ufficio tecnico comunale allegata come documento H all'atto notarile, e ivi richiamata, si faceva riferimento ad una "superficie di uso comune coperta posto al piano terra mq 144" e che, ai fini della valutazione di congruita' del prezzo, la determinazione convenzionale di tale superficie (definita appunto, si sottolinea nella sentenza gravata, di uso comune) risultava diminuita di due dodicesimi, in evidente correlazione alla circostanza che due dei dodici appartamenti del fabbricato non erano di proprieta' comunale.
Per la cassazione della sentenza d'appello il Comune di Sarzana ha proposto ricorso nei confronti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)...
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FRONTE
4) La Cambiale è sempre protestabile per il mancato pagamento alla data fissata anche se nel frattempo è stata oggetto di sequestro
Un imprenditore firma una cambiale a favore di un terzo e la cambiale viene depositata presso un Istituto bancario di cui è cliente. Alla data di scadenza per il pagamento, la Banca gli segnala che la cambiale è stata portata all’incasso. L’imprenditore comunica alla Banca che la data di scadenza è stata a suo dire falsificata e sporge denuncia per truffa e falso. Il titolo di credito viene sequestrato su ordine della Procura della Repubblica. Nel frattempo, l’imprenditore non versa la somma indicata nella cambiale e neppure segnala di aver fatto denuncia.
La cambiale viene così protestata da un Notaio su richiesta della Banca, stante la mancanza di pagamento della somma dovuta.
Tale constatazione e dichiarazione di mancato pagamento del titolo di credito nel termine indicato comporta la pubblicazione del nome dell’imprenditore nel Bollettino dei cattivi pagatori: per tale ragione, egli chiede al tribunale di Fermo il risarcimento dei danni, sia nei confronti della banca che del Notaio. Il Tribunale respinge la domanda di risarcimento dei danni perché:
la contraffazione della data sul documento non è visibile ad occhio nudo, pur con la massima attenzione possibile;
il protesto è un atto dovuto per legge in caso di mancanza di pagamento, alla data fissata, della somma di denaro indicata nella cambiale;
il sequestro non deve essere inteso come un atto di forza maggiore, e come tale in grado di rinviare il protesto ai sensi della legge cambiaria.
La Corte d’Appello di Ancona conferma quanto deciso dal Tribunale. La questione viene posta davanti alla Corte di Cassazione e la Corte ribadisce che:
- è principio di diritto consolidato che la Banca deve far dichiarare il mancato pagamento attraverso il protesto allo scopo di tutelare i diritti del creditore;
- l’obbligo della Banca non viene meno in caso di sequestro sia civile che penale poiché la legge cambiaria non lo prevede come uno dei casi di forza maggiore che permettono la sospensione della procedura di protesto;
- non vi è alcun obbligo di legge che imponga alla Banca di avvisare il sottoscrittore della cambiale in caso di richiesta di protesto per mancanza di fondi. L’unico obbligo della Banca è quello di avvisare il sottoscrittore che il titolo è stato portato all’incasso;
quindi la Banca ha agito in buona fede nell’esecuzione del contratto ed anche sotto tale aspetto, la richiesta di risarcimento danni va respinta.
VERSO
4) La Cambiale è sempre protestabile per il mancato pagamento alla data fissata anche se nel frattempo è stata oggetto di sequestro
Cassazione, Sezione I Civile, n. 91 del 4 gennaio 2017
Con sentenza depositata il 27/11/2010, la Corte d'appello di Ancona ha rigettato l'appello proposto da T.V. avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Fermo aveva respinto la domanda, proposta dal T. nei confronti della Banca Popolare di Ancona e del Notaio I.A. (che aveva chiamato in giudizio la Meie Aurora Assicurazioni per essere manlevato in ipotesi di riconoscimento di una sua responsabilità), per il risarcimento dei danni derivati dal protesto di una cambiale di lire 1.875.000, emessa (insieme ad altre tre) nel 1994 dall'appellante in favore di tale C.G. e domiciliata presso la Banca convenuta. Protesto che il predetto assumeva illegittimo -e produttivo, a seguito della pubblicazione nel relativo Bollettino, di gravi danni per la sua attività imprenditoriale- avendo egli, una volta ricevuta comunicazione dalla Banca della messa all'incasso del titolo, sporto querela per la falsificazione della data di scadenza (corretta dal 30.9.1994 al 30.9.1995), a seguito della quale la Procura della Repubblica di Fermo aveva disposto il sequestro del titolo, e ciò nonostante il protesto era stato elevato, su richiesta della Banca, dal Notaio I. dietro presentazione di copia autentica del titolo stesso.
La Corte distrettuale, premesso che -come già rilevato dal primo giudice e non censurato nell'appello- è incontroverso che il T., ricevuta la comunicazione della messa all'incasso del titolo, non ha informato la Banca, tantomeno il Notaio, della denuncia penale presentata in ragione della presumibile contraffazione della data di scadenza, ha in primo luogo rilevato che l'esame visivo del documento conferma quanto affermato dal primo giudice, come cioè la contraffazione non sia visibile ad occhio nudo, sia pure a seguito di un esame attento. Ha poi osservato che - ferma l'insussistenza di disposizioni normative che imponessero la comunicazione da parte della Banca all'appellante dell'intervenuto sequestro del titolo e quindi del successivo protesto- il protesto era comunque, nella specie, atto dovuto onde evitare ai giratari del titolo la perdita del diritto di regresso, non essendo d'altra parte il sequestro probatorio eseguito dalla Procura -atto certamente non equivalente all'accertamento della contraffazione- una causa di forza maggiore idonea, ai sensi dell'art. 61 della legge cambiaria, a rinviare il protesto, la cui levata su copia autentica del titolo rilasciata a tal fine dalla Procura della Repubblica procedente non può peraltro - per quanto detto- configurare il reato di uso di atto falso di cui all'art. 489 cod. pen.. Avverso tale sentenza T.V. ha proposto ricorso a questa Corte affidato a tre motivi, cui resistono con distinti controricorsi la Banca Popolare di Ancona, il Notaio I. e la Unipol Assicurazioni s.p.a., successore per incorporazione della Meie Aurora Assicurazioni.
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FRONTE
5) La lavoratrice madre può essere licenziata solo per colpa grave.
Una dipendente di Poste Italiane Spa impugna il licenziamento per giusta causa davanti al Tribunale di Frosinone. Il giudice accoglie il suo ricorso, dichiara l’illegittimità del licenziamento e ordina al datore di riammetterla in servizio presso il suo luogo di lavoro. Senonché l’azienda, prima della ripresa dell’attività lavorativa comunica alla dipendente il suo trasferimento ad altra sede di lavoro. La lavoratrice non si presenta e la società datrice di lavoro, di fronte a un’assenza ingiustificata di oltre sessanta giorni, la licenzia per giusta causa.
La lavoratrice impugna il nuovo licenziamento per nullità in quanto adottato durante il periodo di gravidanza e quindi in violazione delle norme che tutelano la lavoratrice madre.
Sia il Tribunale di Cassino che la Corte d’Appello di Roma respingono i suoi ricorsi, dichiarando la legittimità del licenziamento per sussistenza di una giusta causa. In particolare il giudice d’appello osserva che:
a) il comportamento della lavoratrice é riconducibile all'ipotesi disciplinata dal contratto collettivo nazionale di lavoro che sanziona con il licenziamento per giusta causa "l'assenza arbitraria dal servizio superiore a sessanta giorni lavorativi consecutivi";
b) in presenza di una colpa grave imputabile alla lavoratrice-madre, non opera il divieto di licenziamento, come previsto dalla stessa normativa a tutela della maternità.
Di diverso avviso la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, che ha accolto il ricorso della lavoratrice, dichiarando la nullità del licenziamento, per i seguenti motivi:
a) le norme a tutela della maternità e paternità vietano il licenziamento della lavoratrice madre dall’inizio del periodo di gravidanza fino al compimento del primo anno di vita del bambino;
b) però le norme prevedono alcune deroghe al divieto stabilendo che la lavoratrice madre possa essere licenziata in caso di colpa grave, che costituisce una giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
c) il giudice di merito nell’affermare la sussistenza della colpa grave della lavoratrice madre deve compiere un’indagine sul caso concreto e darne conto nella motivazione;
d) il giudice di appello non si è attenuto a tali principi poiché ha ravvisato la giusta causa di licenziamento nella semplice violazione del contratto collettivo applicabile, che sanziona con il licenziamento senza preavviso l'assenza ingiustificata per più di sessanta giorni lavorativi consecutivi;
e) il giudice di merito avrebbe dovuto valutare in modo più approfondito la vicenda, prendendo in considerazione, ad esempio, le ripercussioni su diversi piani della maternità (personale, psicologico, familiare e organizzativo), soprattutto in presenza dei disagi derivanti dal trasferimento della sede di lavoro;
f) la sentenza della Corte di appello di Roma deve, pertanto, essere annullata e la causa rinviata allo stesso giudice, che nel riesaminare la causa dovrà attenersi atterrà al principio di diritto e ai criteri sopra enunciati.
VERSO
5) La lavoratrice madre può essere licenziata solo per colpa grave.
Cassazione Civile – Sezione Lavoro, n. 2004 del 26 gennaio 2017
Con sentenza n. 100/2015 del 25/2/2015 il Tribunale di Cassino rigettava l'opposizione proposta da V.S. nei confronti dell'ordinanza dello stesso Tribunale che ne aveva respinto il ricorso per la dichiarazione di nullità o illegittimità dei licenziamento senza preavviso intimatole da Poste Italiane S.p.A., con lettera del 9/7/2012, per assenza ingiustificata, non avendo la lavoratrice, la quale aveva ottenuto dai Tribunale di Frosinone di essere riammessa nel posto di lavoro in precedenza occupato nell'Ufficio di (OMISSIS), ripreso servizio nell'Ufficio di (OMISSIS), ove era stata trasferita, con provvedimento del 2/3/2012, a far data dal 26/3 successivo.
Il reclamo della V. avverso detta sentenza del Tribunale di Cassino era respinto dalla Corte di appello di Roma, con la sentenza n. 5066/2015, depositata il 12 giugno 2015. La Corte osservava, in primo luogo, a fondamento della propria decisione, che la parte reclamante doveva considerarsi decaduta dalla possibilità di impugnare il trasferimento, avendo provveduto alla relativa impugnazione giudiziale con ricorso depositato in data 17/3/2013 e, pertanto, oltre il termine di duecentosettanta giorni previsto dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, e decorrente nella specie dal 20/3/2012, data dell'avvenuta comunicazione dell'impugnativa del trasferimento: con la conseguenza che era da ritenersi precluso che la questione della legittimità del medesimo potesse essere valutata incidentalmente nel giudizio relativo al licenziamento. La Corte osservava poi che la condotta posta in essere dalla lavoratrice era riconducibile all'ipotesi di cui all'art. 54, par. 6^, lett. l) del CCNL 14 aprile 2011, che sanziona con il licenziamento per giusta causa "l'assenza arbitraria dal servizio superiore a sessanta giorni lavorativi consecutivi", e che tale condotta di persistente e ingiustificato rifiuto della prestazione, avuto anche riguardo alla circostanza che la V., all'epoca in stato di gravidanza, non si era neppure presentata al momento delle formalità di ripristino del rapporto per rappresentare le proprie particolari esigenze personali e familiari, integrava la fattispecie della colpa grave stabilita dal D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 54, comma 3, lett. a), quale causa di esclusione del divieto di licenziamento. La Corte di appello riteneva infine di condividere la sentenza di primo grado circa l'immediatezza dell'esercizio dell'azione disciplinare, posto che la contestazione risultava formulata poco tempo dopo il perfezionarsi della condotta addebitata.
Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la V. con sei motivi; la società ha resistito con controricorso, assistito da memoria.
Diritto - Motivi della decisione - Con il primo motivo, deducendo violazione degli artt. 100 e 112 c.p.c., in relazione all'art.360 c.p.c., n.4, la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la Corte...