Le donne cambiano la Storia, cambiamo i libri di Storia.

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12 marzo 2017

Fronte/Verso Anno V, n. 3, newsletter marzo 2017

1) A proposito di Italicum. Il legislatore può, attraverso il sistema elettorale, mirare ad ottenere la massima stabilità del Governo, ma ciò non può passare attraverso un’eccessiva compressione dei principi di rappresentatività delle due Camere, di uguaglianza e di personalità del voto.

2) Chi blocca volontariamente con la propria auto il passaggio di un’altra auto commette il reato di violenza privata.

3)Beni immobili. In caso di contrasto tra rogito e planimetrie allegate prevale la descrizione dell’immobile nell’atto di acquisto oppure la rappresentazione grafica delle planimetrie?

4) La Cambiale è sempre protestabile per il mancato pagamento alla data prefissata anche se nel frattempo è stata oggetto di sequestro

5) La lavoratrice madre può essere licenziata solo per colpa grave.

FRONTE
1) A proposito di Italicum. Il legislatore può, attraverso il sistema elettorale, mirare ad ottenere la massima stabilità del Governo, ma ciò non può passare attraverso un’eccessiva compressione dei principi di rappresentatività delle due Camere, di uguaglianza e personalità del voto.

Diversi Tribunali (Messina, Torino, Perugia, Trieste e Genova) sollevano numerose questioni di legittimità costituzionale su alcuni articoli della legge elettorale del 2015, il cosiddetto Italicum, che modifica le norme per l’elezione dei deputati e dei senatori.
Quasi tutte le questioni sono dichiarate inammissibili o perché formulate in difformità dalle regole che governano il processo sulla costituzionalità delle leggi, o perché infondate.
Tuttavia, due questioni, sollevate da quasi tutti i Tribunali in termini sostanzialmente identici, sono attentamente valutate dalla Corte costituzionale che nell’esaminarle ricorda la piena legittimità dello scrutinio di una legge elettorale non ancora applicata in considerazione del fatto che già l’incertezza sulla portata del diritto di voto costituisce una “lesione giuridicamente rilevante”.
Le due questioni riguardano :
1) le norme che prevedono che, se nessuna lista di candidati raggiunge, al primo turno, il 40% dei voti validi si procede al ballottaggio tra quelle che hanno superato la soglia del 3% e hanno ottenuto, sempre al primo turno, la maggioranza dei voti a livello nazionale;
2) la norma che stabilisce che un deputato capolista, con nominativo “bloccato”, poiché deciso dal partito che lo candida, se viene eletto in più collegi plurinominali può optare discrezionalmente per quello che preferisce, non essendo stati fissati nella legge criteri di scelta oggettivi.
I Tribunali di Torino, Perugia, Trieste e Genova ritengono che le prime norme (punto 1) siano incostituzionali perché la lista che risulterebbe vincitrice dal turno di ballottaggio non sarebbe realmente rappresentativa dei voti espressi dal corpo elettorale. Infatti, il legislatore si è limitato a prevedere che al ballottaggio accedano solo le due liste più votate (purché ottengano il 3 per cento dei voti validi espressi) e il premio verrebbe poi attribuito a chi ottiene il 50 per cento più uno dei voti validi espressi, senza considerare l’astensione dal voto, che potrebbe essere anche notevole.
Inoltre, gli stessi Tribunali sostengono che la mancata previsione di un criterio oggettivo di scelta a seguito della elezione del copolista produrrebbe una distorsione del voto danneggiando il principio di uguaglianza e di libertà di voto (punto 2). Infatti, la scelta effettuata dal capolista vincitore in più collegi (che è scelto dal partito) potrebbe riguardare un collegio in cui un candidato “non bloccato” ha ottenuto più voti di lui, oppure, al contrario, la stessa scelta potrebbe assegnare il seggio non voluto ad un candidato che ne ha ottenuti molti di meno.
La Corte costituzionale accoglie le questioni di legittimità costituzionale sollevate in merito alle norme indicate ai punti 1) e 2) ed afferma che:
- con riferimento al primo gruppo di norme, è noto che il legislatore può prevedere un premio di maggioranza anche in un sistema elettorale ispirato al criterio del riparto proporzionale di seggi, perché non è il turno di ballottaggio tra liste in sé e per sé considerato a risultare costituzionalmente illegittimo;
- tuttavia, è necessario che il premio di maggioranza non provochi un’eccessiva sovra-rappresentazione della lista che lo ottiene (che, di fatto, ha avuto solo la maggioranza relativa dei voti). In sostanza, il legislatore deve rispettare il carattere rappresentativo della Camera e del Senato, nonché il principio di uguaglianza del voto;
- le disposizioni del cd “Italicum” non garantiscono il rispetto di tali principi, perché : prevedono che una lista possa accedere al turno di ballottaggio pur avendo ottenuto, al primo turno, un consenso scarso, e prevedono che possa persino ottenere il premio, vedendo più che raddoppiati i seggi che avrebbe ottenuto sulla base dei voti effettivamente ricevuti al primo turno.
Per la Corte Costituzionale è quindi legittimo mirare alla stabilità di Governo, che rappresenta un interesse costituzionale, ma non sacrificando eccessivamente i principi costituzionali di rappresentatività e di uguaglianza del voto, e trasformando artificialmente una lista che vanta un consenso limitato, e magari anche minimo, in maggioranza assoluta.
Per quanto riguarda l’elezione del capolista eletto in più collegi, la sua preferenza del tutto soggettiva condiziona non solo il potere di scegliere il proprio collegio d’elezione, ma anche, indirettamente, il potere di designare il rappresentante di un altro collegio elettorale, secondo una logica che può condizionare l’effetto utile dei voti di preferenza espressi dagli elettori.
Ben potrebbe infatti accadere che un candidato che abbia avuto molte preferenze sia surclassato da uno o più candidati in altri collegi con meno preferenze. In altri termini, la scelta soggettiva del collegio affida al capolista la decisione sul destino del voto di preferenza espresso dall’elettore nel collegio prescelto, determinando una distorsione del risultato.

VERSO
1) A proposito di Italicum. Il legislatore può, attraverso il sistema elettorale, mirare ad ottenere la massima stabilità del Governo, ma ciò non può passare attraverso un’eccessiva compressione dei principi di rappresentatività delle due Camere, di uguaglianza e personalità del voto.

Corte Costituzionale, sentenza 9 febbraio 2017, n. 35.
Nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, 18-bis, comma 3, primo periodo, 19, comma 1, primo periodo, 83, commi 1, 2, 3, 4 e 5, 83-bis, comma 1, numeri 1), 2), 3) e 4), 84, commi 1, 2 e 4, e 85 del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati), come sostituiti, modificati e/o aggiunti, rispettivamente, dall’art. 2, commi 1, 10, lettera c), 11, 25, 26 e 27 della legge 6 maggio 2015, n. 52 (Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati); degli artt. 16, comma 1, lettera b), e 17 del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica), come novellati dall’art. 4, commi 7 e 8, della legge 21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica); e degli artt. 1, comma 1, lettere a), d), e), f) e g), e 2, comma 35, della legge n. 52 del 2015, promossi dai Tribunali ordinari di Messina, Torino, Perugia, Trieste e Genova con ordinanze, rispettivamente, del 17 febbraio, del 5 luglio, del 6 settembre, del 5 ottobre e del 16 novembre 2016, iscritte ai nn. 69, 163, 192, 265 e 268 del registro ordinanze 2016 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 14, 30, 41 e 50, prima serie speciale, dell'anno 2016.
Visti gli atti di costituzione di V.P. e altri, di L.P.C. e altri, di M.V. e altri, di F.S. e altri, e di S.A. e altri, nonché gli atti di intervento di F.C.B. e altri, di C.T. e altri, di S.M., di F.D.M. e altro (intervenuti nel giudizio iscritto al n. 163 del registro ordinanze 2016 con due atti, il primo nei termini e il secondo fuori termine), del Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e la tutela dei diritti di utenti e consumatori) e altro (intervenuti nei termini nei giudizi iscritti ai nn. 265 e 268 del registro ordinanze 2016, e fuori termine nei giudizi iscritti ai nn. 69 e 163 del registro ordinanze 2016), di V.P., di E.P. e altra, di M.M. ed altri e del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell’udienza pubblica del 24 gennaio 2017 il Giudice relatore Nicolò Zanon; uditi gli avvocati Enzo Paolini per E.P. e altra, per F.C.B. e altri, per S.M. e per V.P., Claudio Tani per C.T. e altri, Carlo Rienzi per il Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e la tutela dei diritti di utenti e consumatori) e altro, Vincenzo Palumbo e Giuseppe Bozzi per V.P. e altri, Roberto Lamacchia per L.P.C. e altri, Michele Ricciardi per M.V. e altri, Felice Carlo Besostri per F.S. e altri e per S.A. e altri, Lorenzo Acquarone e Vincenzo Paolillo per S.A. e altri, e gli avvocati dello Stato Paolo Grasso e Massimo Massella Ducci Teri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto 1.– Con ordinanza del 17 febbraio 2016 (reg. ord. n. 69 del 2016), il Tribunale ordinario di Messina ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera f), della legge 6 maggio 2015, n. 52 (Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati) e degli artt. 1, comma 2, e 83, commi 1, 2, 3, 4 e 5, del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati), questi ultimi come modificati dall’art. 2, commi 1 e 25, della legge n. 52 del 2015, per violazione degli artt. 1, primo e secondo comma, 3, primo e secondo comma, 48, secondo comma, 49, 51, primo comma, e 56, primo comma, della Costituzione, e dell’art. 3 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ratificato e reso esecutivo con legge 4 agosto 1955, n. 848; deludito nell’udienza pubblica del 24 gennaio 2017 il Giudice relatore Nicolò Zanon; uditi gli avvocati Enzo Paolini per E.P. e altra, per F.C.B. e altri, per S.M. e per V.P., Claudio Tani per C.T. e altri, Carlo Rienzi per il Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e la tutela dei diritti di utenti e consumatori) e altro, Vincenzo Palumbo e Giuseppe Bozzi per V.P. e altri, Roberto Lamacchia per L.P.C. e altri, Michele Ricciardi per M.V. e altri, Felice Carlo Besostri per F.S. e altri e per S.A. e altri, Lorenzo Acquarone e Vincenzo Paolillo per S.A. e altri, e gli avvocati dello Stato Paolo Grasso e Massimo Massella Ducci Teri per il Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell’udienza pubblica del 24 gennaio 2017 il Giudice relatore Nicolò Zanon; uditi gli avvocati Enzo Paolini per E.P. e altra, per F.C.B. e altri, per S.M. e per V.P., Claudio Tani per C.T. e altri, Carlo Rienzi per il Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e la tutela dei diritti di utenti e consumatori) e altro

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FRONTE

2) Chi blocca volontariamente con la propria auto il passaggio di un’altra auto commette il reato di violenza privata.

Una Signora va a trovare la sorella che vive in una strada senza sbocco, usata dai residenti anche come parcheggio. Quando deve andarsene si trova impossibilitata a farlo poiché viene bloccata in auto, con i propri figli, dalla proprietaria dell’unica casa adiacente, indispettita dall’occupazione provvisoria del posto macchina lungo la via.
Tale proprietaria posiziona la propria auto in modo da ostruire il passaggio ed impedisce alla Signora di allontanarsi confermando anche a voce l’intenzione di non lasciarla andare via, malgrado le scuse ricevute ed il fatto che vi fosse comunque un altro posto libero dove poter parcheggiare la macchina.
Tale ostilità si era già manifestata in precedenti situazioni di tensione tra vicini di casa e perciò viene richiesto l’intervento dei Carabinieri e l’auto viene spostata poco prima del loro arrivo.
La proprietaria della casa viene denunciata ed imputata, davanti al Tribunale di Ascoli Piceno, per i reati di violenza privata e minacce.
Il Tribunale, in base alle prove raggiunte in dibattimento accerta la colpevolezza dell’imputata per il reato di violenza privata, mentre la assolve dall’imputazione per minacce. E ciò, in quanto:

il reato di violenza privata consiste in un comportamento che comprime la libertà di determinazione del soggetto passivo, creando alla persona il danno nella costrizione di subire quanto deciso da altri;

il reato di minacce, invece, non può trovare applicazione poiché le frasi “ti blocco”, “ti faccio vedere io” vanno messe in relazione al contesto nel quale sono state pronunciate ed il male ingiusto prospettato è solo il comportamento violento.

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VERSO
2) Chi blocca volontariamente con la propria auto il passaggio di un’altra auto commette il reato di violenza privata.

Sentenza Tribunale di Ascoli Piceno, 5 gennaio 2017    
Con decreto della Procura della Repubblica, F.E. veniva citata davanti al Tribunale di Ascoli Piceno per rispondere del reato di cui in epigrafe. Il giudizio si svolgeva alla presenza dell'imputata. All'udienza del 03.11.15 interveniva costituzione di parte civile nell'interesse di T.C.; successivamente si procedeva all'ammissione delle prove. Esaurita l'assunzione delle prove, il P.M., il Difensore della parte civile e il Difensore dell'imputata formulavano ed illustravano le rispettive conclusioni in epigrafe trascritte.
Motivi della decisione: Gli elementi acquisiti in dibattimento offrono la prova, piena ed inequivocabile, della responsabilità penale dell'imputata in ordine al reato alla stessa ascritto nel capo a) dell'imputazione; diversamente per la violazione riportata nel capo b) non sussistono sufficienti elementi per attestare la sussistenza della responsabilità penale della F.. Tale convinzione nasce dalla valutazione delle dichiarazioni assunte nel corso del dibattimento.
Per il reato di cui all'art 610 c.p. il concetto di violenza assume una valenza più ampia, comprensiva anche della violenza diretta alle cose o a soggetti diversi dalla vittima; ugualmente anche la minaccia comprende un ventaglio applicativo molto ampio, che prescinde quindi dal tipo di mezzi utilizzati o dal grado della minacci stessa. In tale contesto normativo di portata più estesa deve essere valutata la condotta della F.. Il fatto accaduto il nove gennaio del 2014 è stato confermato da tutti i numerosi testi escussi, seppur evidenziando elementi differenti. Il contesto è quello dei rapporti di vicinato ed è caratterizzato, per quanto emerso in dibattimento, da situazioni di attrito preesistenti legate proprio al citato rapporto tra l'imputata e la sorella della persona offesa.

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FRONTE


3) Beni immobili. In caso di contrasto tra rogito e planimetrie allegate prevale la descrizione dell’immobile nell’atto di acquisto oppure la rappresentazione grafica in planimetria?

Due coppie di coniugi acquistano due appartamenti facenti parte di un fabbricato il cui esclusivo proprietario è il Comune di Sarzana. Successivamente il Comune realizza, unilateralmente, alcuni locali da destinare agli sfrattati all’interno del porticato sito al piano terra.
 I coniugi chiedono al Tribunale la condanna del Comune alla rimozione di tali abitazioni e il ripristino dell’originario porticato tenuto conto della sua natura condominiale. Il Tribunale respinge la richiesta dei coniugi i quali si rivolgono alla Corte di Appello di Genova che accoglie le loro ragioni.
Il Comune di Sarzana impugna la sentenza presentando ricorso avanti la Corte di Cassazione.
La Corte, esamina la questione ed in particolare le planimetrie allegate all’atto di acquisto dell’immobile da parte del Comune e ricorda che:
- Le planimetrie allegate ai contratti che riguardano gli immobili fanno parte integrante del contratto se i contraenti si siano riferite ad esse nella descrizione del bene;
- tali planimetrie costituiscono un importante strumento per l’interpretazione del contratto;
- nella ipotesi di una difformità tra la descrizione dell’immobile e la sua rappresentazione grafica spetta al giudice valutare la corrispondenza di tali documenti all’effettiva e concreta volontà delle parti ricavabile dall’esame complessivo del contratto.

La Corte da quindi ragione alla coppia di coniugi poiché sulla base della planimetria allegata al contratto e della perizia dell’ufficio tecnico comunale il porticato in questione è da intendersi come bene condominiale. La Corte afferma inoltre che, in materia di condominio, per stabilire se un bene sia o meno da ritenersi di uso comune occorre riferirsi all’atto costitutivo del condominio, oppure all’atto di trasferimento dell’immobile dall’originario unico proprietario ad altro soggetto, e verificare se da esso emerge la volontà di riservare a uno o più condomini l’esclusiva proprietà del bene.  E quindi nel caso in cui il bene non sia riservato ad alcuno il bene è di uso comune.

VERSO

3) Beni immobili. In caso di contrasto tra rogito e planimetrie allegate prevale la descrizione dell’immobile nell’atto di acquisto oppure la rappresentazione grafica in planimetria?

Cassazione, Sezione II, n. 23256, 15.11.2016
"Il Comune di Sarzana e' proprietario, per acquisto dall'originario costruttore, dell'intero fabbricato posto in via dei (OMISSIS), ad eccezione di due appartamenti che il medesimo costruttore aveva trattenuto per se' e successivamente ha venduto, uno, ai signori (OMISSIS) e (OMISSIS) e, l'altro, ai signori (OMISSIS) e (OMISSIS).
Nel porticato posto al piano terra del suddetto fabbricato il Comune ha realizzato delle unita' abitative da destinare agli sfrattati. I condomini suddetti hanno chiesto al tribunale di La Spezia, per quanto qui ancora interessa, la condanna del Comune alla rimozione di tali unita' abitative e alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi, deducendo la natura condominiale del porticato in cui dette unita' erano state realizzate.
La domanda dei condomini, disattesa in primo grado, e' stata accolta dalla corte d'appello di Genova, la quale ha ritenuto che la presunzione di condominialita' del porticato ex articolo 1117 c.c. risultasse vinta dal tenore letterale del titolo di acquisto del comune, nel quale, nella descrizione del piano terreno dell'immobile trasferito, si dava atto della presenza di un portico (senza precisare che avesse natura condominiale), ma si faceva riferimento ("il tutto come meglio individuato") ad una planimetria allegata all'atto, sottoscritta dalle parti e dal notaio rogante, in cui detto portico veniva definito come "portico condominiale scala 8 mq 144,85". La corte genovese ha altresi' argomentato che nella perizia dell'ufficio tecnico comunale allegata come documento H all'atto notarile, e ivi richiamata, si faceva riferimento ad una "superficie di uso comune coperta posto al piano terra mq 144" e che, ai fini della valutazione di congruita' del prezzo, la determinazione convenzionale di tale superficie (definita appunto, si sottolinea nella sentenza gravata, di uso comune) risultava diminuita di due dodicesimi, in evidente correlazione alla circostanza che due dei dodici appartamenti del fabbricato non erano di proprieta' comunale.
Per la cassazione della sentenza d'appello il Comune di Sarzana ha proposto ricorso nei confronti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)...

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FRONTE

4) La Cambiale è sempre protestabile per il mancato pagamento alla data fissata anche se nel frattempo è stata oggetto di sequestro

Un imprenditore firma una cambiale a favore di un terzo e la cambiale viene depositata presso un Istituto bancario di cui è cliente. Alla data di scadenza per il pagamento, la Banca gli segnala che la cambiale è stata portata all’incasso. L’imprenditore comunica alla Banca che la data di scadenza è stata a suo dire falsificata e sporge denuncia per truffa e falso. Il titolo di credito viene sequestrato su ordine della Procura della Repubblica. Nel frattempo, l’imprenditore non versa la somma indicata nella cambiale e neppure segnala di aver fatto denuncia.
La cambiale viene così protestata da un Notaio su richiesta della Banca, stante la mancanza di pagamento della somma dovuta.
Tale constatazione e dichiarazione di mancato pagamento del titolo di credito nel termine indicato comporta la pubblicazione del nome dell’imprenditore nel Bollettino dei cattivi pagatori: per tale ragione, egli chiede al tribunale di Fermo il risarcimento dei danni, sia nei confronti della banca che del Notaio. Il Tribunale respinge la domanda di risarcimento dei danni perché:
la contraffazione della data sul documento non è visibile ad occhio nudo, pur con la massima attenzione possibile;
il protesto è un atto dovuto per legge in caso di mancanza di pagamento, alla data fissata, della somma di denaro indicata nella cambiale; 
il sequestro non deve essere inteso come un atto di forza maggiore, e come tale in grado di rinviare il protesto ai sensi della legge cambiaria.
La Corte d’Appello di Ancona conferma quanto deciso dal Tribunale. La questione viene posta davanti alla Corte di Cassazione e la Corte ribadisce che:
- è principio di diritto consolidato che la Banca deve far dichiarare il mancato pagamento attraverso il protesto allo scopo di tutelare i diritti del creditore;
- l’obbligo della Banca non viene meno in caso di sequestro sia civile che penale poiché la legge cambiaria non lo prevede come uno dei casi di forza maggiore che permettono la sospensione della procedura di protesto;
- non vi è alcun obbligo di legge che imponga alla Banca di avvisare il sottoscrittore della cambiale in caso di richiesta di protesto per mancanza di fondi. L’unico obbligo della Banca è quello di avvisare il sottoscrittore che il titolo è stato portato all’incasso;
quindi la Banca ha agito in buona fede nell’esecuzione del contratto ed anche sotto tale aspetto, la richiesta di risarcimento danni va respinta.

VERSO

4) La Cambiale è sempre protestabile per il mancato pagamento alla data fissata anche se nel frattempo è stata oggetto di sequestro

Cassazione, Sezione I Civile,   n. 91 del 4 gennaio 2017
Con sentenza depositata il 27/11/2010, la Corte d'appello di Ancona ha rigettato l'appello proposto da T.V. avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Fermo aveva respinto la domanda, proposta dal T. nei confronti della Banca Popolare di Ancona e del Notaio I.A. (che aveva chiamato in giudizio la Meie Aurora Assicurazioni per essere manlevato in ipotesi di riconoscimento di una sua responsabilità), per il risarcimento dei danni derivati dal protesto di una cambiale di lire 1.875.000, emessa (insieme ad altre tre) nel 1994 dall'appellante in favore di tale C.G. e domiciliata presso la Banca convenuta. Protesto che il predetto assumeva illegittimo -e produttivo, a seguito della pubblicazione nel relativo Bollettino, di gravi danni per la sua attività imprenditoriale- avendo egli, una volta ricevuta comunicazione dalla Banca della messa all'incasso del titolo, sporto querela per la falsificazione della data di scadenza (corretta dal 30.9.1994 al 30.9.1995), a seguito della quale la Procura della Repubblica di Fermo aveva disposto il sequestro del titolo, e ciò nonostante il protesto era stato elevato, su richiesta della Banca, dal Notaio I. dietro presentazione di copia autentica del titolo stesso.
La Corte distrettuale, premesso che -come già rilevato dal primo giudice e non censurato nell'appello- è incontroverso che il T., ricevuta la comunicazione della messa all'incasso del titolo, non ha informato la Banca, tantomeno il Notaio, della denuncia penale presentata in ragione della presumibile contraffazione della data di scadenza, ha in primo luogo rilevato che l'esame visivo del documento conferma quanto affermato dal primo giudice, come cioè la contraffazione non sia visibile ad occhio nudo, sia pure a seguito di un esame attento. Ha poi osservato che - ferma l'insussistenza di disposizioni normative che imponessero la comunicazione da parte della Banca all'appellante dell'intervenuto sequestro del titolo e quindi del successivo protesto- il protesto era comunque, nella specie, atto dovuto onde evitare ai giratari del titolo la perdita del diritto di regresso, non essendo d'altra parte il sequestro probatorio eseguito dalla Procura -atto certamente non equivalente all'accertamento della contraffazione- una causa di forza maggiore idonea, ai sensi dell'art. 61 della legge cambiaria, a rinviare il protesto, la cui levata su copia autentica del titolo rilasciata a tal fine dalla Procura della Repubblica procedente non può peraltro - per quanto detto- configurare il reato di uso di atto falso di cui all'art. 489 cod. pen.. Avverso tale sentenza T.V. ha proposto ricorso a questa Corte affidato a tre motivi, cui resistono con distinti controricorsi la Banca Popolare di Ancona, il Notaio I. e la Unipol Assicurazioni s.p.a., successore per incorporazione della Meie Aurora Assicurazioni.

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FRONTE

5) La lavoratrice madre può essere licenziata solo per colpa grave.

Una dipendente di Poste Italiane Spa impugna il licenziamento per giusta causa davanti al Tribunale di Frosinone. Il giudice accoglie il suo ricorso, dichiara l’illegittimità del licenziamento e ordina al datore di riammetterla in servizio presso il suo luogo di lavoro. Senonché l’azienda, prima della ripresa dell’attività lavorativa comunica alla dipendente il suo trasferimento ad altra sede di lavoro. La lavoratrice non si presenta e la società datrice di lavoro, di fronte a un’assenza ingiustificata di oltre sessanta giorni, la licenzia per giusta causa.
La lavoratrice impugna il nuovo licenziamento per nullità in quanto adottato durante il periodo di gravidanza e quindi in violazione delle norme che tutelano la lavoratrice madre.
Sia il Tribunale di Cassino che la Corte d’Appello di Roma respingono i suoi ricorsi, dichiarando la legittimità del licenziamento per sussistenza di una giusta causa. In particolare il giudice d’appello osserva che:
a) il comportamento della lavoratrice é riconducibile all'ipotesi disciplinata dal contratto collettivo nazionale di lavoro che sanziona con il licenziamento per giusta causa "l'assenza arbitraria dal servizio superiore a sessanta giorni lavorativi consecutivi";
b) in presenza di una colpa grave imputabile alla lavoratrice-madre, non opera il divieto di licenziamento, come previsto dalla stessa normativa a tutela della maternità.
Di diverso avviso la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, che ha accolto il ricorso della lavoratrice, dichiarando la nullità del licenziamento, per i seguenti motivi:
a) le norme a tutela della maternità e paternità vietano il licenziamento della lavoratrice madre dall’inizio del periodo di gravidanza fino al compimento del primo anno di vita del bambino;
b) però le norme prevedono alcune deroghe al divieto stabilendo che la lavoratrice madre possa essere licenziata in caso di colpa grave, che costituisce una giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
c) il giudice di merito nell’affermare la sussistenza della colpa grave della lavoratrice madre deve compiere un’indagine sul caso concreto e darne conto nella motivazione;
d) il giudice di appello non si è attenuto a tali principi poiché ha ravvisato la giusta causa di licenziamento nella semplice violazione del contratto collettivo applicabile, che sanziona con il licenziamento senza preavviso l'assenza ingiustificata per più di sessanta giorni lavorativi consecutivi;
e) il giudice di merito avrebbe dovuto valutare in modo più approfondito la vicenda, prendendo in considerazione, ad esempio, le ripercussioni su diversi piani della maternità (personale, psicologico, familiare e organizzativo), soprattutto in presenza dei disagi derivanti dal trasferimento della sede di lavoro; 
f) la sentenza della Corte di appello di Roma deve, pertanto, essere annullata e la causa rinviata allo stesso giudice, che nel riesaminare la causa dovrà attenersi atterrà al principio di diritto e ai criteri sopra enunciati.

VERSO

5) La lavoratrice madre può essere licenziata solo per colpa grave.

Cassazione Civile – Sezione Lavoro, n. 2004 del 26 gennaio 2017
Con sentenza n. 100/2015 del 25/2/2015 il Tribunale di Cassino rigettava l'opposizione proposta da V.S. nei confronti dell'ordinanza dello stesso Tribunale che ne aveva respinto il ricorso per la dichiarazione di nullità o illegittimità dei licenziamento senza preavviso intimatole da Poste Italiane S.p.A., con lettera del 9/7/2012, per assenza ingiustificata, non avendo la lavoratrice, la quale aveva ottenuto dai Tribunale di Frosinone di essere riammessa nel posto di lavoro in precedenza occupato nell'Ufficio di (OMISSIS), ripreso servizio nell'Ufficio di (OMISSIS), ove era stata trasferita, con provvedimento del 2/3/2012, a far data dal 26/3 successivo.
Il reclamo della V. avverso detta sentenza del Tribunale di Cassino era respinto dalla Corte di appello di Roma, con la sentenza n. 5066/2015, depositata il 12 giugno 2015. La Corte osservava, in primo luogo, a fondamento della propria decisione, che la parte reclamante doveva considerarsi decaduta dalla possibilità di impugnare il trasferimento, avendo provveduto alla relativa impugnazione giudiziale con ricorso depositato in data 17/3/2013 e, pertanto, oltre il termine di duecentosettanta giorni previsto dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, e decorrente nella specie dal 20/3/2012, data dell'avvenuta comunicazione dell'impugnativa del trasferimento: con la conseguenza che era da ritenersi precluso che la questione della legittimità del medesimo potesse essere valutata incidentalmente nel giudizio relativo al licenziamento. La Corte osservava poi che la condotta posta in essere dalla lavoratrice era riconducibile all'ipotesi di cui all'art. 54, par. 6^, lett. l) del CCNL 14 aprile 2011, che sanziona con il licenziamento per giusta causa "l'assenza arbitraria dal servizio superiore a sessanta giorni lavorativi consecutivi", e che tale condotta di persistente e ingiustificato rifiuto della prestazione, avuto anche riguardo alla circostanza che la V., all'epoca in stato di gravidanza, non si era neppure presentata al momento delle formalità di ripristino del rapporto per rappresentare le proprie particolari esigenze personali e familiari, integrava la fattispecie della colpa grave stabilita dal D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 54, comma 3, lett. a), quale causa di esclusione del divieto di licenziamento. La Corte di appello riteneva infine di condividere la sentenza di primo grado circa l'immediatezza dell'esercizio dell'azione disciplinare, posto che la contestazione risultava formulata poco tempo dopo il perfezionarsi della condotta addebitata.
Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la V. con sei motivi; la società ha resistito con controricorso, assistito da memoria. 
Diritto - Motivi della decisione - Con il primo motivo, deducendo violazione degli artt. 100 e 112 c.p.c., in relazione all'art.360 c.p.c., n.4, la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la Corte...
 

26 gennaio 2017

Fronte/Verso: newsletter gennaio 2017

Anno V, n. 1, indice newsletter gennaio 2017:


1) Il diritto all’oblio va valutato caso per caso: l’interesse pubblico di una notizia pubblicata sul web è provato dal suo impatto sociale e dall’agitazione che ha suscitato.

2) La prostituzione è una attività di prestazione di servizi retribuita e quindi assimilabile al lavoro autonomo se svolta in modo continuativo e abituale. E’ comunque soggetta ad imposizione fiscale se è invece esercitata in modo occasionale poiché rientra nella categoria dei redditi diversi.

3) Street food. La vendita di prodotti alimentari in cattivo stato di conservazione e in condizioni non igieniche è sufficiente per condannare il venditore. Non è infatti necessario che i cibi siano marciti o che i consumatori abbiano subito danni alla salute.

4) L’azienda licenzia per aumentare il profitto: per la Cassazione il licenziamento è legittimo.

5) Per ritenere configurabile un testamento olografo è sufficiente la semplice nomina di un erede desumibile dalla manifestazione di volontà con cui una persona dispone delle proprie sostanze per il tempo in cui avrà cessato di vivere.


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FRONTE

1) Il diritto all’oblio va valutato caso per caso: l’interesse pubblico di una notizia pubblicata sul web è provato dal suo impatto sociale e dall’agitazione che ha suscitato.

Un uomo si rivolge al Garante per la protezione dei dati personali affinché imponga a Google di cancellare i risultati della ricerca relativa al suo nome, che consistono in notizie su un reato per il quale l’uomo è stato condannato nel 2012.
Il richiedente afferma che i fatti risalgono a molto tempo fa, al 2006, e quindi, non c’è alcun interesse pubblico alla permanenza di tali notizie sul web, mentre è evidente che esse invece danneggiano la sua reputazione ora che svolge un’attività nel settore immobiliare privato.
Google, al contrario, sostiene che non sussistono i requisiti per l’applicazione del diritto all’oblio indicati dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea nel 2014 in quanto: la condanna definitiva dell’uomo è recente ed i reati commessi sono di particolare gravità (corruzione e truffa a danno della sanità regionale). Esiste dunque ad avviso di Google un interesse pubblico alla conoscibilità della condanna e dei reati commessi.
Il Garante dà ragione a Google e spiega che:
- la condanna del richiedente è avvenuta solo nel 2012 quindi in epoca abbastanza recente;
- la collettività manifesta tuttora un grande interesse verso gli scandali che riguardano la sanità regionale;
- le Linee guida adottate nel 2014 dal Gruppo di lavoro “Articolo 29” istituito sulla base della direttiva europea 95/46, che è il principale strumento giuridico dell'Unione europea sulla protezione dei dati, indicano che non sussiste il diritto all’oblio rispetto ai reati più gravi, come quelli di cui si è macchiato il ricorrente;
- la valutazione deve essere effettuata volta per volta, tenendo conto che l’allarme sociale destato dalla notizia è indice di un interesse pubblico e quindi coerente con il mantenimento dell’informazione nel motore di ricerca di Google;
- nel caso in esame quindi non sussistono i requisiti per accogliere la richiesta di cancellazione dei dati.

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VERSO

1) Il diritto all’oblio va valutato caso per caso: l’interesse pubblico di una notizia pubblicata sul web è provato dal suo impatto sociale e dall’agitazione che ha suscitato.
 
Garante Per La Protezione Dei Dati Personali, provvedimento, 6 ottobre 2016, n. 400.
“ …. Visto il ricorso presentato il 16 maggio 2016 con il quale ..., rappresentato e difeso dall'avv. …, ribadendo le istanze già avanzate a Google ai sensi dell'art. 7 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 "Codice in materia di protezione dei dati personali" (di seguito "Codice") con tre distinti interpelli preventivi, ha chiesto:
- la rimozione di una serie di Url che vengono restituiti come risultati di ricerca digitando il proprio nome e cognome e che rimandano ad una vicenda giudiziaria in cui lo stesso è rimasto coinvolto, insieme ad altri soggetti, circa dieci anni orsono, vicenda che si è conclusa, "nei suoi confronti, con sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p., passata in giudicato, con pena interamente coperta da indulto ai sensi della L. 241/06";
- la refusione delle spese del presente procedimento;
considerato che il ricorrente ha in particolare rappresentato: a) il lungo lasso di tempo trascorso dai fatti in questione; b) l'assenza di uno specifico ed attuale interesse pubblico alla conoscenza delle notizie, essendo egli un privato cittadino attualmente privo di alcun ruolo pubblico; c) il danno all'immagine, alla riservatezza e alla vita privata e lavorativa subiti in ragione della permanenza degli Url in questione fra i risultati di ricerca prodotti dal motore di ricerca Google in relazione al proprio nominativo; 
Dato Atto che, in ordine all'assenza della qualità di personaggio pubblico in capo al ricorrente,  quest'ultimo ha in particolare rappresentato di essersi dimesso "da ogni carica pubblica prima della definizione del giudizio (era Consigliere comunale del Comune di …)" e di non aver più ricoperto da allora "ruoli politici od incarichi…
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FRONTE

2) La prostituzione è una attività di prestazione di servizi retribuita e quindi assimilabile al lavoro autonomo se svolta in modo continuativo e abituale. E’ comunque soggetta ad imposizione fiscale se è invece esercitata in modo occasionale poiché rientra nella categoria dei redditi diversi.
 
La guardia di Finanza esegue una verifica fiscale a carico di una signora che, ad eccezione dell’anno 2003, non aveva mai presentato una dichiarazione dei redditi.
A seguito degli accertamenti effettuati la signora risultava possedere numerose autovetture, alcune di lusso, risultava intestataria di un immobile, di diversi contratti di locazione, di dieci conti correnti attivi e di gestioni patrimoniali. La Guardia di Finanza emette quindi un avviso di accertamento. La signora ricorre contro il provvedimento sostenendo che tali redditi, provenendo dalla propria attività di prostituzione, non sono tassabili.
La Commissione Tributaria Provinciale di Firenze accoglie parzialmente il ricorso ma la sentenza viene contestata dall’Agenzia delle Entrate che propone appello.
Il Giudice di appello conferma in seguito che i proventi dell’attività da prostituzione devono essere tassati e compresi nella categoria residuale dei “redditi diversi”. Contro la sentenza d’appello la signora ha proposto un nuovo ricorso ma la Corte di Cassazione lo ha respinto affermando che:
-       l’elemento comune dei diversi tipi di redditi considerati dal testo Unico delle imposte sui redditi è la derivazione del reddito stesso da una fonte produttiva;
-       tale impostazione è stata poi ampliata da leggi successive che hanno stabilito che i proventi derivanti da attività illecita (civile, penale o amministrativa), se non sottratti con sequestro o confisca, sono sottoposti a tassazione e che i proventi illeciti sono comunque considerati redditi diversi;
-       se sono considerati reddito i proventi derivanti da attività illecita a maggior ragione devono considerarsi reddito i proventi derivanti da attività di prostituzione, di per sé non illecita (infatti, è illecito solo il favoreggiamento o lo sfruttamento della prostituzione).
-       nel caso specifico il giudice di merito ha accertato che la signora svolgeva autonomamente e liberamente tale attività ottenendo dei profitti e ha correttamente stabilito che tale attività è assimilabile al lavoro autonomo, se esercitato in forma abituale, o da redditi diversi se, sempre in modo autonomo, è esercitata in maniera occasionale.
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VERSO

2) La prostituzione è una attività di prestazione di servizi retribuita e quindi assimilabile al lavoro autonomo se svolta in modo continuativo e abituale. E’ comunque soggetta ad imposizione fiscale se è invece esercitata in modo occasionale poiché rientra nella categoria dei redditi diversi.
 
Corte di Cassazione, Sezione Tributaria Civile, 27 luglio 2016, n. 15596.
“…La Guardia di Finanza eseguiva una verifica fiscale nei confronti di…, che, pur non avendo mai presentato dichiarazione dei redditi (tranne che per l'annualità 2003), risultava intestataria di numerose autovetture anche di lusso, acquirente di un appartamento, titolare di vari contratti di locazione immobiliare; inoltre, dagli accertamenti bancari effettuati, .... risultava intestataria di dieci conti correnti attivi e di gestioni patrimoniali. Sulla base degli accertamenti effettuati, con particolare riguardo ai dati relativi ai versamenti sui conti correnti bancari, l'Agenzia delle Entrate emetteva avviso di accertamento per l'anno di imposta 2004 con il quale recuperava a tassazione ai fini Irpef un reddito imponibile di Euro 29.240. 
Contro l'avviso di accertamento ....proponeva ricorso sostenendo la non tassabilità dei redditi accertati in quanto provento dell'attività di prostituzione dalla stessa esercitata. La Commissione tributaria provinciale di Firenze con sentenza n. 127 del 2008 accoglieva parzialmente il ricorso: riconosceva rilevanza reddituale ai proventi dell'attività di meretricio, ma riteneva che essi fossero soltanto quelli risultanti dai versamenti sui conti correnti effettuati in contanti, escludendo quelli effettuati mediante assegni. 
L'Agenzia delle Entrate proponeva appello e … si costituiva proponendo a propria volta appello incidentale. Con sentenza n. 45 del 19.4.2011 la Commissione tributaria regionale di Firenze accoglieva l'appello principale della Agenzia delle Entrate e rigettava l'appello incidentale della contribuente. Il giudice di appello confermava che i proventi dell'attività di prostituzione dovevano essere compresi nella categoria residuale dei "redditi diversi" quale prestazione volontaria di un servizio dietro corrispettivo; riteneva corretta la rettifica del reddito effettuata dall'Ufficio a norma D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, con richiamo all'art. 39 ai soli fini della indicazione della metodologia di accertamento, senza che questo significasse contestazione di un reddito di impresa … per la sentenza integrale cliccare qui 
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FRONTE

3) Street food. La vendita di prodotti alimentari in cattivo stato di conservazione e in condizioni non igieniche è sufficiente per condannare il venditore. Non è infatti necessario che i cibi siano marciti o che i consumatori abbiano subito danni alla salute.
 
Due persone sono accusate di detenzione di alimenti in cattivo stato di conservazione e di aver frodato i propri acquirenti convincendoli di acquistare prodotti diversi da quelli effettivamente venduti (per origine, provenienza e qualità). Agli accusati è inoltre contestato di aver collocato la roulotte utilizzata per la vendita in una zona in cui il Piano regolatore generale vieta le attività commerciali.
Quando il Corpo Forestale della Valle d’Aosta è arrivato presso il banco ambulante dei due trova formaggi e salumi esposti al sole e in cattivo stato di conservazione, coltelli utilizzati per il taglio dei formaggi sporchi e una situazione igienica particolarmente grave.
Il Tribunale di Aosta, esaminati i fatti, afferma che:
- la giurisprudenza ha da tempo chiarito che perché sussista la violazione delle norme sulla Disciplina igienica della produzione e della vendita di alimenti e bevande è sufficiente che il cattivo stato riguardi le modalità esterne di conservazione degli alimenti non essendo necessario verificare che l’alimento sia effettivamente avariato;
- si tratta infatti di un reato “di pericolo” e non “di danno”, per cui è sufficiente che vi sia il pericolo che un certo danno si verifichi, senza necessità che il danno stesso si concretizzi;
- in questo caso i formaggi ed i salumi, già divisi in pezzi, erano esposti all’aria e al sole per diversi giorni, senza protezione dagli agenti esterni come gli insetti, tali alimenti erano destinati al consumo umano senza essere cotti e perciò potenzialmente pericolosi;
- tra l’altro i due facevano credere di vendere Fontina DOP mentre si trattava di formaggio valdostano, sicuramente meno pregiato e meno costoso, cercando quindi di ingannare gli acquirenti;
- alla luce di tutto questo i due accusati devono considerarsi colpevoli dei reati di cui sono accusati e condannati al pagamento della multa prevista dalla legge;
- sono assolti invece dal reato urbanistico perché la roulotte è una struttura mobile, non infissa al suolo e dotata di ruote e pertanto non può essere considerata come fosse un comune negozio di alimenti.

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VERSO

3) Street food. La vendita di prodotti alimentari in cattivo stato di conservazione e in condizioni non igieniche è sufficiente per condannare il venditore. Non è infatti necessario che i cibi siano marciti o che i consumatori abbiano subito danni alla salute.
 
Tribunale di Aosta, Sezione Penale, 30 giugno 2016, n. 345.
“...A) reato di cui agli arti 110 c.p. e 5 lett. b) della legge n. 283 del 1962, perché in concorso fra loro, detenevano per la vendita prodotti alimentari in cattivo stato di conservazione.
In particolare, presso il chiosco ambulante all'insegna ... collocato per la stagione estiva in … (AO), detenevano salumi e formaggi esposti a temperature elevate che ne causavano il deterioramento ed in alcuni casi il compenetramento tra l'etichetta e la crosta esterna; mantenevano in scarse condizioni igieniche sia gli alimenti sia i coltelli da taglio, a causa dell'indisponibilità di acqua corrente; non impedivano - anche a causa della mancanza di un piano di autocontrollo aziendale - che a contatto con gli alimenti entrassero agenti infestanti quali mosche ed altri insetti.
B) reato di cui agli art. 156, 110, 515 c.p. perché, in concorso tra loro, compivano atti idonei e diretti in modo non equivoco a consegnare agli acquirenti cose mobili diverse da quanto dichiarato per origine, provenienza e qualità.   In particolare, commercializzavano come Fontina al prezzo di 13 Euro/kg formaggio stagionato in realtà qualificabile come "Formaggio Valdostano".
Con la recidiva reiterata per il solo AU.
C) reato di cui agli arti 110, 44 lett. a)D.P.R. 380 del 2001 perché, in concorso fra loro, collocavano in zona "(...)", preclusa alle attività commerciali dal …. comunale, una roulotte utilizzata in modo tale da soddisfare esigenze permanenti di tipo commerciale.
Motivi Della Decisione
All'udienza dibattimentale del .., … e... chiedevano di essere giudicati nelle forme del giudizio abbreviato. Dall'esame degli atti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero, emerge pacificamente che in data 23/7/2015 il personale in servizio presso il Corpo Forestale della Valle d'Aosta si recava in … (AO), loc. .., presso il banco di vendita ambulante aperto dall’impresa individuale…
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FRONTE

4) L’azienda licenzia per aumentare il profitto: per la Cassazione il licenziamento è legittimo.    
 
Una società che gestisce un resort di lusso in Toscana decide di eliminare la posizione di direttore operativo e di licenziare quindi il dipendente che la ricopre per alleggerire e semplificare la gestione aziendale. Il lavoratore, ritenendo pretestuoso il licenziamento, impugna il licenziamento in sede giudiziale e chiede al magistrato di essere reintegrato nel suo posto di lavoro. Il primo giudice respinge il ricorso mentre è di diverso avviso la Corte di Appello di Firenze che lo accoglie per i seguenti motivi:
- la società non ha provato che la soppressione del posto di direttore operativo sia stata dettata dalla necessità di far fronte a una situazione economicamente sfavorevole;
-   si deve pertanto presumere che il licenziamento sia stato motivato solo dalla riduzione dei costi e quindi al solo scopo di voler aumentare il profitto dell’azienda.
La sentenza della corte fiorentina viene poi annullata dalla Corte di Cassazione che ha affermato i seguenti principi:
- l’ordinamento non prevede alcun obbligo per il datore di lavoro che intende licenziare un lavoratore per motivi organizzativi di provare una contrazione dei costi e una sfavorevole situazione di mercato;
- spetta all’imprenditore stabilire il numero dei dipendenti, evidentemente al fine di ottenere una gestione più economica dell’impresa e di perseguire il profitto che è lo scopo lecito di ogni attività imprenditoriale;
- in questa ottica la decisione di sopprimere una figura lavorativa per rendere più efficiente la gestione aziendale e aumentare la redditività dell’impresa deve ritenersi legittima.
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VERSO

4) L’azienda licenzia per aumentare il profitto: per la Cassazione il licenziamento è legittimo.    
 
Corte di Cassazione, Sezione Lavoro,7 dicembre 2016, n. 25201.
“…1.— Con sentenza del 29 maggio 2015 la Corte di Appello di Firenze, in riforma della pronuncia di primo grado, accertata l'illegittimità del licenziamento intimato a …in data 11 giugno 2013 dalla ...  Spa per giustificato motivo oggettivo, ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro e condannato la società a corrispondere al lavoratore 15 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.
La Corte territoriale, pur escludendo l'illiceità del recesso asseritamente "pretestuoso", non ha tuttavia condiviso l'assunto del primo giudice che aveva invece considerato legittimo il licenziamento in quanto "effettivamente motivato dall'esigenza tecnica di rendere più snella la cd. catena di comando e quindi la gestione aziendale".
La Corte ha sostenuto che, in mancanza di prova da parte del datore di lavoro dell'esigenza di fare fronte a sfavorevoli e non meramente contingenti situazioni influenti in modo decisivo sulla normale attività produttiva ovvero per sostenere notevoli spese di carattere straordinario, ogni riassetto dell'impresa "risulta motivato soltanto dalla riduzione dei costi e, quindi, dal mero incremento del profitto". La Corte, quindi, in difetto della suddetta prova gravante sulla società, non reputando "sufficiente la dimostrazione dell'effettività della riorganizzazione", ha tratto la conseguenza, ritenendo assorbita ogni altra questione quale l'obbligo di repêchage, della non ricorrenza di un giustificato motivo oggettivo di licenziamento.
2.- Per la cassazione di tale…
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FRONTE

5) Per ritenere configurabile un testamento olografo è sufficiente la semplice nomina di un erede desumibile dalla manifestazione di volontà con cui una persona dispone delle proprie sostanze per il tempo in cui avrà cessato di vivere.
 
Alla morte del padre uno dei figli si rivolge al Tribunale affermando che i propri diritti ereditari sono stati lesi perché il genitore ha lasciato solo una lettera che lui non considera come un testamento e nella quale viene escluso dall’eredità.
Gli altri due figli sostengono invece che il defunto genitore ha disposto delle proprie sostanze con lettera assimilabile ad un testamento olografo ovvero ad un testamento scritto per intero, datato e sottoscritto dal testatore. Il Tribunale e la Corte di Appello di Venezia gli danno torto e la controversia giunge davanti alla Corte di Cassazione.
La Cassazione, dopo aver considerato corretto l’operato del Tribunale e della Corte d’Appello, chiarisce che anche la semplice nomina con cui il defunto designa il suo successore con una disposizione patrimoniale dei propri beni, è sufficiente a qualificare tale atto come un testamento. Infatti contiene una manifestazione di volontà con la quale una persona dispone delle proprie sostanze per il tempo in cui avrà cessato di vivere. La Corte dichiara comunque inammissibile il ricorso perché:
-       è’ sbagliato sostenere che si sia di fronte a una “lettera di intenti” o a “un progetto di testamento”;
-       nessun errore è stato quindi compiuto dalla Corte di Appello. E’ il ricorrente che vuole indurre la Corte di Cassazione ad un’inammissibile indagine sul merito della vicenda mentre questa può effettuare solo il controllo sulla motivazione della sentenza impugnata.
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VERSO

5) Per ritenere configurabile un testamento olografo è sufficiente la semplice nomina di un erede desumibile dalla manifestazione di volontà con cui una persona dispone delle proprie sostanze per il tempo in cui avrà cessato di vivere.
 
Corte di Cassazione, Sezione II Civile, 10 gennaio 2017  n. 336.
“..Nel gennaio del 2003 … agiva in divisione ereditaria dei beni
relitti ab intestato dal padre. …., verso i … e … e il nipote ex fratre…, succeduto per rappresentazione dell'altro fratello, … premorto. Il tutto previa collazione e riduzione di donazioni poste in essere dal de cuius in favore di ... e …. 
Questi ultimi due nel resistere in giudizio eccepivano la natura testamentaria della successione, avendo il de cuius disposto delle sue sostanze con testamento olografo che aveva istituito loro soltanto come eredi.
Chiedevano, quindi, il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la condanna dell'attore a restituire la somma di lire 20 milioni mutuatagli dal de cuius si costituiva chiedendo unicamente di partecipare alla
divisione ereditaria.
Con sentenza n. 803/06 l'adito Tribunale di Verona, accertata l'esistenza del testamento, rigettava la domanda principale e accoglieva la riconvenzionale condannando … a pagare a …ed …la somma di 10.748,50, oltre interessi legali e rivalutazione.
Tale sentenza era sostanzialmente confermata, salvo la rivalutazione del suddetto credito, dalla Corte d'appello di Venezia. con sentenza n. 184/12.
Limitatamente a quanto ancora rileva in questa sede di legittimità…
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per la cortesia di  Avv. Ileana Alesso e di Avv. Maurizia Borea
 

2 febbraio 2016

….. accade a Milano

Leggi e Linguaggio : un gioco da ragazzi.

  da ArcipelagoMilano 27 gennaio 2016 

Poche righe ben scritte. Chiare e comprensibili: “almeno qui non fumare” e ancora: “il giardino è di tutti, tieni pulito”. Non servono frasi lunghe e involute o citazioni latine che sono sempre molto cool.

I piccoli cittadini di Zona 1, nell’ambito del progetto “Ragazzi in zona. I Consigli di Zona dei ragazzi e delle ragazze di Milano”, hanno pensato di tradurre il regolamento comunale del verde e ne hanno riscritto le regole nel linguaggio corrente. Ora  all’ingresso del Giardino Bazlen,  tra Corso di Porta Romana e Corso di Porta Vigentina, è possibile apprezzare i sei “spot” fatti e disegnati da loro su un cartellone metallico e colorato, illuminato dall’insolito sole di gennaio.
Eccone alcuni: “bici si, macchine no”, “non si deve sporcare dove si vuole giocare”, “solo i cani col guinzaglio possono muoversi per il parco!”, “proteggete l’ambiente: non vi costa niente! ”.
Accanto alle regole, corredate da disegni altrettanto convinti e accompagnati dai loghi del Comune e della Zona 1, sta andando in scena una lezione di legalità e una, altrettanto preziosa, sull’uso corretto del linguaggio pubblico.

Una lezione, quella sulla comunicazione istituzionale, dedicata a tutti quelli che invece ancora scrivono che le persone vengono “ tratte in salvo”, che gli articoli di legge “recitano, che la medicina “si assume, che la multa viene “elevata e la sanzione “irrogata.
Il burocratese, sottospecie perversa del legalese, vive di queste frasi che sono buone per Zelig, non per le leggi e gli atti amministrativi. Non è il cabaret il luogo giusto per mettere in scena il matrimonio che si“contrae, le denunce che si “sporgono e  le dimissioni che si “rassegnano ?

Cosa hanno fatto i ragazzi della zona 1?
 Hanno allineato, con coerenza, il linguaggio parlato e quello scritto, utilizzando certo le forme dell’imperativo, stretti com’erano tra ovvie necessità di sintesi e l’univocità di un messaggio che vuole togliere ogni alibi anche a chi è solito buttare a terra il mozzicone di sigaretta. Ed infatti in un cartello-fumetto in campo bianco, circondato da un disegno nero, compare la scritta “almeno qui non fumare”.
Sappiamo che ci sarà sempre chi violerà le regole per farsi gli affari propri a danno degli altri. Tuttavia per fare in modo che tutti siano nelle condizioni di poterle almeno conoscere, per poterle poi rispettare, occorre pretendere che le regole siano scritte chiaramente e che non si debba aver bisogno di un Alan Turing per risolvere “l’enigma” o che si debba invocare il “mondo  salvato dai ragazzini”  di  Elsa Morante.
Il principio per cui la legge non ammette ignoranza ha senso solo se le regole  - che siano contenute in leggi, provvedimenti amministrativi o sentenze - possono essere comprese almeno da chi ha completato l’obbligo scolastico.
Se lo sai spiegare a tua nonna, allora vuol dire che lo sai” raccontava Albert Einstein.

L’età della ragione richiede un linguaggio ragionevole, che certo non è rappresentato dall’oscurità e dalla prolissità dall’attuale linguaggio giuridico come dimostra il decreto “mille” proroghe o la recente legge di stabilità, solo per citare gli ultimi clamorosi e recenti prodotti giuridici.
La legge di stabilità per il 2016 è infatti composta da un solo articolo che comprende tuttavia 999 commi (avete letto bene: 999 commi per un unico articolo di legge).

Il linguaggio giuridico non è un linguaggio come gli altri, è un linguaggio speciale ed è per questo che deve essere normale.
Richiede parole univoche, frasi concise e periodi brevi per regole limpide nel contenuto, forti nel senso, credibili nello scopo e ragionevoli nei mezzi.
Il danno provocato alla comunità da leggi incomprensibili è grande poiché il linguaggio che non si capisce e che non si può parlare è un linguaggio che rende muti.
E’ una questione di potere, di supremazia, di assenza di rispetto, di autistica insofferenza per il cittadino interlocutore.
La parola oscura che crea distanza va sostituita con la parola chiara che crea appartenenza e avvicina.

 Le sentenze non sono da meno, visto che sono pronunciate “in nome del popolo italiano, ma spesso con un linguaggio che proprio quel popolo non può comprendere, e l’esperienza di Fronte Verso (www.fronteverso.it) in questi anni ha  dimostrato, come hanno fatto quei ragazzi, che anche nel diritto si può utilizzare un linguaggio preciso e comprensibile a tutti per contribuire all’accessibilità del diritto, alla semplificazione del linguaggio e alla comunicazione responsabile. Perché conoscere il diritto è un diritto.

by Ileana Alesso e Gianni Clocchiatti,

1 agosto 2014

FONDI STRUTTURALI EUROPEI: IL MINISTRO NON HA RISPOSTO ALLE ASSOCIAZIONI LGBTI.

 CHIEDEREMO ALLA COMMISSIONE EUROPEA DI VIGILARE SUL CASO ITALIANO.

Roma, 28 luglio 2014

In data 24 luglio il Ministero del Lavoro ha affermato dell’avveduta formale trasmissione agli uffici della Commissione Europea il PON Inclusione sociale dal quale è stato deciso di eliminare l’obiettivo “Lotta contro tutte le forme di discriminazione e per la promozione di pari opportunità” e ogni riferimento all’orientamento sessuale e all’identità di genere tra le cause di potenziale discriminazione o alla Strategia nazionale LGBTI.

Prendiamo atto della mancata risposta da parte del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali alla nostra richiesta d’incontro urgente per verificare la possibilità di inserire il riferimento esplicito alle azioni antidiscriminatorie in ambito lavorativo, con particolare riferimento a orientamento sessuale e identità di genere, sia nella bozza di Accordi di Partenariato che nella bozza di PON Inclusione sociale.

Agiremo in sede europea per far sì che l’Accordo di Partenariato tra Italia e Unione Europea e il PON Inclusione sociale dell’Italia rispettino gli standard europei in tema di antidiscriminazione e chiediamo sin d’ora alla Commissione Europea di vigilare sul caso italiano.

AGEDO, Arcigay, ArciLesbica, Associazione Radicale Certi Diritti, Equality Italia, Famiglie Arcobaleno

9 luglio 2014

da jurisreport - diritto e giustizia news LEGGI, LINGUAGGIO E CITTADINANZA

Chi non ha mai provato l’impulso di mandare a quel paese l’informatico che snocciola il suo tecnologico sapere mentre noi, persi in un universo parallelo, ci capiamo meno di niente? 
Chi non ha provato il medesimo impulso verso quei medici o quegli avvocati che ci rovesciano addosso il loro criptico linguaggio mentre il nostro problema resta desolatamente irrisolto?
 Non tutti gli specialisti sono ovviamente così, alcuni sono anche ridicoli. Come quelli che hanno deciso che il biglietto del treno non si timbra bensì si “oblitera”, che la multa si “eleva,” il mutuo si “contrae” e la sanzione pecuniaria si “ ìrroga”. 
Questo linguaggio viene definito burocratese, una sottospecie deviata del legalese, ma guardandone gli effetti possiamo ben dire che è il linguaggio della sudditanza, l’esatto contrario del linguaggio della cittadinanza.

Un linguaggio che, con la scusa della competenza tecnica e della precisione scientifica, genera distanza e diseguaglianza tra le persone
La cosa divertente è che ribalta i suoi perversi effetti su tutti, nessuno escluso, l’informatico prima o poi si recherà da un medico e questi magari avrà bisogno di consultare un avvocato che ovviamente un giorno avrà bisogno di un informatico il quale a sua volta dovrà andare prima o poi da un meccanico. 
E il gioco continua : avete mai scambiato due parole con il meccanico sulle cause del guasto alla vostra auto? Idiomi diversi nella loro specificità tecnica, ma eguali nel meccanismo che alimenta reciproca distanza e incomprensione.

Le leggi non sono da meno. Un esempio a caso? 
Prendete il decreto legge, n. 90, pubblicato il 24 giugno scorso in tema di “misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari” che tratta della pubblica amministrazione, del ricambio generazionale negli uffici pubblici, di Expo e altro.
 Provate a leggerlo. Non temete. Al di la delle intenzioni del legislatore e dei contenuti è praticamente illeggibile, anche per noi addetti ai lavori. Solo con l’esperienza riusciamo a venirne a capo, investendoci del tempo e saltellando attraverso commi, sottocommi, articoli e abrogazioni varie.
 E pensare che l’ Unione Europea nel 2009 , con il Decalogue for Smart Regulation, ha ribadito all’Italia il dovere di scrivere le leggi in modo chiaro così che i suoi destinatari le possano comprendere.

Già ma chi sono i destinatari delle leggi? Sono forse i funzionari che le scrivono? 
Ovviamente no, sono i cittadini, quegli esseri che ancora eleggono i propri rappresentanti confidando che prima o poi abbiano il rispetto di esprimersi nella stessa lingua dei loro rappresentati mentre invece il meccanismo perverso della lingua indecifrabile rende, da decenni, destinataria delle leggi proprio quella oscura Casta di burocrati, estensori delle norme e imperituri nel succedere ad ogni maggioranza e governo.

Rileggiamo la Costituzione o lo Statuto dei Lavoratori.
 Sono chiarissime.
  Scritte con un linguaggio semplice, diretto, con testi brevi che evidenziano il senso, finalizzate sia alla comprensione che alla agevole lettura grazie al rispetto che hanno della dignità dei cittadini - destinatari.

Pensiamo poi alle sentenze. Sono pronunciate in nome del popolo italiano, ma scritte in modo tale che quel popolo non è messo in grado di attingervi direttamente, ma possono esistere linguaggi tecnici che coniughino precisione e partecipazione, che siano al contempo rigorosi e comprensibili?

 La sfida di Fronte Verso ( www.fronteverso.it ) è proprio questa, “dimostrare, a partire dalle sentenze, che è possibile farsi comprendere utilizzando un linguaggio accessibile senza rinunciare al rigore e alla completezza dei concetti ivi espressi

Fronte Verso riscrive “a fronte” le sentenze in modo chiaro e comprensibile a tutti e, per completezza, pubblica “a verso” il testo originario.
La nostra idea è diventata un progetto che è ormai al suo secondo anno di vita e oggi è un network, sviluppato anche con il contributo di Maurizia Borea, a cui partecipano professionisti ed esperti di varie discipline che condividono il valore di una comunicazione responsabile e accettano la sfida di contribuire all’accessibilità del diritto.
  Perché, come ci piace dire, conoscere il diritto è un diritto.


by Ileana Alesso e Gianni Clocchiatti, estratto da Arcipelagomilano on line 8 luglio 2014