editoriale
NELL’INTERESSE COLLETTIVO
Di Dario Accolla | 17.12.2015
È tempo di Natale. Ed è tempo di polemiche su presepi, tradizioni, radici. L’estremismo religioso islamico, che porta alle devianze che sono sotto gli occhi di tutti e tutte, ha come contraltare un avvitamento identitario che si basa sulla nostra, di fede, con esiti di certo meno violenti sul piano fisico, ma non per questo meno irrazionali. E dagli sviluppi che denunciano, per altro, anche una certa ottusità. Ma andiamo per ordine.
Ero con alcuni amici, giorni addietro, a cena. Si parlava delle polemiche della scuola di Rozzano e del suo dirigente scolastico, accusato di aver svenduto i valori della nostra civiltà in nome di un politically correct che annienta identità e memoria. Prendendo atto che la questione era sostanzialmente una bufala montata ad arte da qualche genitore ipersensibile e cavalcata dal consueto sensazionalismo della stampa italiana, un commensale commentò questa storia dicendo: «Che poi, a ben pensarci, ci fosse stato un solo cattolico nella natività». Ed in effetti, se prendiamo Maria, Giuseppe, i Magi, fino ad arrivare all’ultimo pastore, stiamo parlando di ebrei in Medio Oriente. Converrete che lascia una certa perplessità che la difesa del nostro essere “occidente” e del nostro appartenere alla “cristianità” si basi su qualcosa che non rappresenta né l’una, né l’altra categoria.
Ancora il presepe, per altro, viene elevato ad emblema della famiglia per eccellenza e quindi specchio di quella “tradizionale”. Peccato che poi, se guardiamo ai protagonisti, risulta poi essere testimonianza del suo esatto opposto. La Madonna sarebbe etichettata al giorno d’oggi come “madre surrogata” per conto di Dio stesso – chissà se Mario Adinolfi definirebbe prostituta anche lei… – e chissà come verrebbe trattato, sempre oggi, nel presente, il padre putativo di Cristo. In tempi di attacco alle stepchild adoption, previste dal ddl Cirinnà, non si può non cogliere l’assurdo che chi è contrario ad esse, poi crede in una “famiglia” che si è fondata su un principio di genitorialità non parentale. E, sempre secondo tale prospettiva, le varie Giorgia Meloni e i vari Matteo Salvini, per non parlare dell’inossidabile Giovanardi, dovrebbero pretendere che il presepe sparisse come celebrazione, più o meno occulta, dell’aberrante pratica dell’utero in affitto.
Se poi le nostre radici non sono coerenti con le ragioni degli integralisti di casa nostra, le reazioni da essi prodotte indicano una sostanziale debolezza culturale di fronte al cambiamento politico e sociale che si sta attuando in occidente. Un solo esempio tra molti: in Veneto si festeggerà, anche quest’anno, la “festa della famiglia”, con preciso riferimento contro le unioni civili, il cosiddetto gender e l’omogenitorialità. Che si celebri la famiglia, per carità, cosa lecita e degnissima per chi crede in questo tipo di festeggiamento. Ma che si faccia contro una categoria sociale, per altro capace di creare a sua volta altre tipologie familiari, ci fa capire che forse così sicuri dei propri modelli di riferimento certi individui non lo sono del tutto. E se consideriamo che alla base di certi sentimenti contro la diversità (musulmani, gay, ecc) c’è il fattore religioso, forse sarebbe il caso di aprire un dibattito e un confronto sul fatto che l’appartenenza a un credo rischia di essere fattore di disgregazione sociale, invece che cemento identitario forte.
Dovremmo prendere atto, tutti e tutte, di tale evidenza e trovare una soluzione per trasformare certe paure in confronto costruttivo nell’interesse di una collettività che non esclude l’“altro/a”, ma miri invece al accoglierlo/a in un nuovo progetto sociale, democratico e civile.
Nell’interesse collettivo, appunto.
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