Una studentessa di 17 anni il 10 dicembre si è data fuoco ed è morta nella Prefettura autonoma tibetana nella provincia cinese occidentale del Qinghai.
Circa
duemila tibetani si sono raccolti per impedire alle autorità cinesi
di prendere il corpo della ragazza, che é stato poi cremato nella
notte.
Si tratta dell'81mo episodio del genere dal primo gennaio del 2012
(da ANSA)
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In un anno, il 2012, più di ottantuno immolazioni solo fino ad ora.
Ma questo che sta finendo non passerà alla storia come anno del dolore tibetano.
Ormai le immolazioni dei tibetani non fanno nemmeno notizia perché, salvo pochissimi, nessuno ci bada.
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Il dramma delle immolazioni,
di Dacia Maraini
Corriere della Sera – 2 giugno 2012.
Quei giovani tibetani votati al sacrificio che Pechino reprime come «terroristi». Rikyo aveva 33 anni e tre figli. Si è data fuoco davanti al monastero di Jonang Zamthang Gonchen.
Una
giovane donna tibetana, madre di tre figli, si è data fuoco per
protestare contro la Cina colonizzatrice il 31 maggio scorso. Si
chiamava Rikyo, aveva 33 anni. Lascia tre figli piccoli, un bambino di 9
anni e due bambine di 7 e 5 anni. Rikyo si è cosparsa di benzina e
freddamente si è gettata addosso un fiammifero acceso davanti al
monastero di Jonang Zamthang Gonchen, nella contea di Zamthang, nella
regione di Ngaba. Anche i cinesi sono rimasti scossi perché Rikyo è la
prima madre tibetana che si dà fuoco, dopo una lunga catena di
suicidi dimostrativi maschili, trentotto in tutto. Gli ultimi, prima
della donna, sono stati due fratelli, Dargye e Tabgye Tseten, due
ragazzi dolcissimi, di cui ci rimangono solo alcune foto rubate coi
telefonini. Ci si chiede: com' è possibile che un Paese gigantesco,
potente, ricco, sapiente di una antica sapienza, non capisca che questo
accanirsi contro un piccolo popolo montanaro che chiede solo un poco
di libertà è stupido oltre che vile?
Li
chiamano «terroristi» questi giovani disperati che si tolgono la vita
per protesta. Ma si tratta di una mistificazione linguistica.
Terrorista è chi fa scoppiare bombe uccidendo innocenti, chi
sequestra, rapina, spara per una idea politica. Ma chi non fa male che
a se stesso, chi mette in gioco la sola cosa preziosa che ha: la
propria vita, si può chiamare terrorista? Decine di tibetani vengono
arrestati tutti i giorni perché fanno lo sciopero della fame, perché
pregano quando non dovrebbero, perché chiedono di continuare a
esistere come popolo. Il governo cinese non sente ragione e usa i modi
più brutali. Li arresta in massa, li chiude nelle carceri, li
picchia, li fucila con accuse di tradimento. Senza rendersi conto che
questi metodi producono sopratutto rancore ed esasperazione fra i
tibetani nonché sconcerto e disapprovazione fra i cinesi stessi. Se
fossero terroristi, come urla il governo, metterebbero bombe,
porterebbero avanti una guerra strisciante, clandestina, uccidendo e
depredando. Invece questi tibetani che rifiutano le armi e vanno
incontro all'occupante con i piedi scalzi, le mani nude, e la testa
rapata, sono persone, che a rischio della vita, chiedono le libertà
elementari: quella di potere parlare la propria lingua, di potere
pregare nelle proprie chiese, di potere riverire il proprio capo
religioso. Rileggo un libro scritto da mio padre, Fosco, nel '39. Si
chiama Dren Giong, un viaggio nel Tibet delle alte montagne. «Ora vado
verso rocce che sono rocce, brune solide e non borragginose muraglie
stillanti. Verso alberi che sono alberi, asciutti, segaligni e non
grandi banani da serra; verso torrenti, freschi, leggeri e non fiumane
giallastre impazzite giù per orride gole; verso monti scarni, ossuti e
non verdi cupoloni impellicciati di foreste salgariane. Anche gli
uomini sono più uomini qui. Ho incontrato una carovana di tibetani che
scendevano dal nord e mi sono fermato a chiacchierare. Venite da
Kampa-dzong? E dove andate? A Dorge-ling? Vogliono vedere «gli
automobili», loro, e sentire le scatole che parlano. C'è mercato a
Dorge-ling e venderanno la lana compressa nelle balle portate dai
muletti, poi compreranno tante cose utili e nuove. Sono allegri,
loquaci e sopratutto comprensibili. Penso agli sguardi assenti dei
Lepcia, vi paragono le mobili pupille dei tibetani e mi trovo meno
solo». Ecco quello di cui dovrebbe essere fatta la vita di un popolo:
amicizie, viaggi, progetti per il futuro, mercati, incontri, acquisti
di cibi freschi, colloqui allegri con uno straniero che cammina in
senso inverso. Una vita di famiglia e di lavoro che si svolge fra le
montagne più alte del mondo, fatta di preghiere, scuola, lavoro nei
campi, matrimoni, nascite e funerali. La vita di un paese libero, che
nei giorni della normalità può apparire pure noiosa, ma che diventa un
sogno meraviglioso quando le libertà sono diventate costrizione, quando
il futuro appare immobile e freddo come un muro di cemento, quando ci
si sente spogliati della propria cultura, della propria tradizione,
della propria memoria storica. «La prigione di Tsel Gungthang è piena
di tibetani presi nei rastrellamenti della polizia cinese che non
risparmia nemmeno donne e anziani. Tutto è cominciato proprio domenica
quando la polizia, per evitare le manifestazioni a Lhasa, ha
arrestato circa 100 persone, sequestrando numerosi telefonini,
macchine fotografiche e videocamere, per paura che le immagini della
doppia immolazione fossero diffuse su internet. La città è tagliata
fuori, non è possibile accedervi. La polizia respinge anche i
pellegrini buddisti che arrivano dalle altre zone, oltre a bloccare le
comunicazioni telefoniche cellulari e internet».
Notizie
della Adnkronos. Sembra che la volontà di potenza e il bisogno di
controllare e reprimere a tutti i costi diventi una ossessione per certi
governi che finiscono per prendersela con gli stessi propri
concittadini. Vedi il caso della Siria. E il caso della Cina che censura
e castiga non solo i tibetani ma anche quei cinesi democratici che
non approvano i metodi brutali e le repressioni indiscriminate della
polizia di Stato. Più la protesta sale dal basso e più un governo
autoritario si sente in dovere di condannare, chiudere, frenare,
inibire, dominare. La storia in effetti insegna che i sistemi
autoritari con pretesa totalitaria possono sopravvivere solo
diventando sempre più intolleranti e occhiuti, contando sempre più
sulla polizia, lo spionaggio e la delazione e sempre meno sul
consenso. Ma c' è un momento in cui la repressione diventa
insopportabile e la popolazione che sembrava sopita in un sonno
sottomesso, si sveglia e fa a pezzi il tiranno. Purtroppo i tiranni
non leggono i libri di storia. Non sono disposti a imparare niente. E
ritengono, come l' orco della favola, che mangiando tutti gli esseri
viventi che entrano nel proprio regno, lo salveranno. E non sanno che
moriranno, nel modo più banale e stupido, di indigestione, per una
rivolta esplosiva delle proprie viscere.
Maraini Dacia (2 giugno 2012) - Corriere della Sera http://www.italiatibet.org/index.php?option=com_content&view=article&id=842:il-dramma-delle-immolazioni&catid=37&Itemid=75
E cosa fa il governo Cinese ?
Si inventa una nuova legge per punire i Tibetani !!!
Incredibile, ma purtroppo vero: ecco qui.
"Nuova legge per punire le auto-immolazioni tibetane.
I funzionari comunisti cinesi hanno presentato una nuova legge che incriminerebbe di omicidio qualsiasi Tibetano che incoraggi o faciliti le auto-immolazioni. La mossa è stata subito denunciata, con i netizens cinesi che affermano che tale provvedimento mina lo stato di diritto.
Coloro che incoraggiano e facilitano le auto-immolazioni saranno ritenuti “penalmente responsabili” di omicidio, mentre coloro che si auto-immolano – che solitamente muoiono sulla scena – saranno accusati di mettere in pericolo la pubblica sicurezza, secondo un rapporto del media portavoce del Partito Comunista People’s Daily, che cita i funzionari della Corte Suprema del Popolo della Repubblica Popolare Cinese, il Procuratore Supremo del Popolo e il Ministro della Pubblica Sicurezza.
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Sabato scorso, due uomini tibetani – tra cui un monaco – si sono dati fuoco in due proteste separate contro il dominio cinese, ha riferito Radio Free Asia. Sono state le ultime persone a darsi fuoco.
L’avvocato di Pechino Liu Xiaoyuan, ha detto sul suo account di Sina Weibo che fino a che la nuova legge è emanata dalla Corte Suprema e dal Procuratore del Popolo in collaborazione con la Pubblica Sicurezza, ciò significa che “il sistema giudiziario è un disastro enorme”. Ha aggiunto che non ci sono controlli ed equilibri nel governo cinese che permetta la cancellazione reciproca, ciò significa che questa legge è un altro esempio della collusione giudiziaria con gli organi di sicurezza dello Stato.
“Si dice si tratti di un documento amministrativo, ma sia la procura che la corte sono entrambe coinvolte”, ha notato. “Ha detto che non era un’interpretazione giudiziaria, ma la Pubblica Sicurezza – che non appartiene ad alcun dipartimento giudiziario – ha preso parte nella decisione. Una semplice opinione può essere usata per incriminare. Scioccante!”
I media di Stato hanno riportato questa settimana che la polizia nella Provincia del Sichuan ha detenuto un monaco buddista tibetano e i suoi familiari per “incitamento” all’auto-immolazione nella regione.
Un altro netizen ha sottolineato che il giro di vite nelle aree tibetane, portato avanti dalle autorità locali cinesi, ha fatto pressione sui Tibetani nel darsi fuoco. “Non dovrebbe invece il governo essere ritenuto penalmente responsabile di omicidio?”, ha chiesto.
“Come può la gente uccidersi in un modo così doloroso se conducessero una buona vita?”, ha domandato un altro blogger. “Il [Partito Comunista] dovrebbe assumersi le sue responsabilità per questo!”
I bambini non sono risparmiati
Per illustrare la gravità della repressione, un rapporto pubblicato lunedì ha riferito che anche i bambini tibetani non sono stati risparmiati dalla tortura, dagli arresti arbitrari e altri abusi sui diritti umani per mano delle autorità cinesi.
L’anno scorso – quando un maggior numero di tibetani si sono dati fuoco per protestare contro le politiche cinesi – ci sono stati una serie di casi in cui bambini e adolescenti “hanno affrontato tutte le sfide della vita sotto l’occupazione, e in molti casi sono a pieno titolo nella lotta di resistenza”, si legge in una sintesi pubblicata la scorsa settimana da Free Tibet e Tibet Watch.
“Più di due terzi di coloro che si sono auto-immolati in Tibet sono giovani con meno di 25 anni e hanno conosciuto la vita solo sotto il dominio cinese,” ha aggiunto. Anche un certo numero di bambini sotto i 18 anni si è dato fuoco.
La dichiarazione continuava: “Questi atti di auto-immolazione sono guidati dalla mancanza di potersi avvalere della libertà di espressione, politica e di risarcimento giuridico, e deve essere vista come un’evidenza che le politiche cinesi… stanno direttamente causando serie violazioni”.
chinareports@epochtimes.com
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