1) Il diritto all’oblio va valutato caso per caso: l’interesse pubblico di una notizia pubblicata sul web è provato dal suo impatto sociale e dall’agitazione che ha suscitato.
2) La prostituzione è una attività di prestazione di servizi retribuita e quindi assimilabile al lavoro autonomo se svolta in modo continuativo e abituale. E’ comunque soggetta ad imposizione fiscale se è invece esercitata in modo occasionale poiché rientra nella categoria dei redditi diversi.
3) Street food. La vendita di prodotti alimentari in cattivo stato di conservazione e in condizioni non igieniche è sufficiente per condannare il venditore. Non è infatti necessario che i cibi siano marciti o che i consumatori abbiano subito danni alla salute.
4) L’azienda licenzia per aumentare il profitto: per la Cassazione il licenziamento è legittimo.
5) Per ritenere configurabile un testamento olografo è sufficiente la semplice nomina di un erede desumibile dalla manifestazione di volontà con cui una persona dispone delle proprie sostanze per il tempo in cui avrà cessato di vivere.
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FRONTE
1) Il diritto all’oblio va valutato caso per caso: l’interesse pubblico di una notizia pubblicata sul web è provato dal suo impatto sociale e dall’agitazione che ha suscitato.
Un uomo si rivolge al Garante per la protezione dei dati personali affinché imponga a Google di cancellare i risultati della ricerca relativa al suo nome, che consistono in notizie su un reato per il quale l’uomo è stato condannato nel 2012.
Il richiedente afferma che i fatti risalgono a molto tempo fa, al 2006, e quindi, non c’è alcun interesse pubblico alla permanenza di tali notizie sul web, mentre è evidente che esse invece danneggiano la sua reputazione ora che svolge un’attività nel settore immobiliare privato.
Google, al contrario, sostiene che non sussistono i requisiti per l’applicazione del diritto all’oblio indicati dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea nel 2014 in quanto: la condanna definitiva dell’uomo è recente ed i reati commessi sono di particolare gravità (corruzione e truffa a danno della sanità regionale). Esiste dunque ad avviso di Google un interesse pubblico alla conoscibilità della condanna e dei reati commessi.
Il Garante dà ragione a Google e spiega che:
- la condanna del richiedente è avvenuta solo nel 2012 quindi in epoca abbastanza recente;
- la collettività manifesta tuttora un grande interesse verso gli scandali che riguardano la sanità regionale;
- le Linee guida adottate nel 2014 dal Gruppo di lavoro “Articolo 29” istituito sulla base della direttiva europea 95/46, che è il principale strumento giuridico dell'Unione europea sulla protezione dei dati, indicano che non sussiste il diritto all’oblio rispetto ai reati più gravi, come quelli di cui si è macchiato il ricorrente;
- la valutazione deve essere effettuata volta per volta, tenendo conto che l’allarme sociale destato dalla notizia è indice di un interesse pubblico e quindi coerente con il mantenimento dell’informazione nel motore di ricerca di Google;
- nel caso in esame quindi non sussistono i requisiti per accogliere la richiesta di cancellazione dei dati.
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VERSO
1) Il diritto all’oblio va valutato caso per caso: l’interesse pubblico di una notizia pubblicata sul web è provato dal suo impatto sociale e dall’agitazione che ha suscitato.
Garante Per La Protezione Dei Dati Personali, provvedimento, 6 ottobre 2016, n. 400.
“ …. Visto il ricorso presentato il 16 maggio 2016 con il quale ..., rappresentato e difeso dall'avv. …, ribadendo le istanze già avanzate a Google ai sensi dell'art. 7 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 "Codice in materia di protezione dei dati personali" (di seguito "Codice") con tre distinti interpelli preventivi, ha chiesto:
- la rimozione di una serie di Url che vengono restituiti come risultati di ricerca digitando il proprio nome e cognome e che rimandano ad una vicenda giudiziaria in cui lo stesso è rimasto coinvolto, insieme ad altri soggetti, circa dieci anni orsono, vicenda che si è conclusa, "nei suoi confronti, con sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p., passata in giudicato, con pena interamente coperta da indulto ai sensi della L. 241/06";
- la refusione delle spese del presente procedimento;
considerato che il ricorrente ha in particolare rappresentato: a) il lungo lasso di tempo trascorso dai fatti in questione; b) l'assenza di uno specifico ed attuale interesse pubblico alla conoscenza delle notizie, essendo egli un privato cittadino attualmente privo di alcun ruolo pubblico; c) il danno all'immagine, alla riservatezza e alla vita privata e lavorativa subiti in ragione della permanenza degli Url in questione fra i risultati di ricerca prodotti dal motore di ricerca Google in relazione al proprio nominativo;
Dato Atto che, in ordine all'assenza della qualità di personaggio pubblico in capo al ricorrente, quest'ultimo ha in particolare rappresentato di essersi dimesso "da ogni carica pubblica prima della definizione del giudizio (era Consigliere comunale del Comune di …)" e di non aver più ricoperto da allora "ruoli politici od incarichi…
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FRONTE
2) La prostituzione è una attività di prestazione di servizi retribuita e quindi assimilabile al lavoro autonomo se svolta in modo continuativo e abituale. E’ comunque soggetta ad imposizione fiscale se è invece esercitata in modo occasionale poiché rientra nella categoria dei redditi diversi.
La guardia di Finanza esegue una verifica fiscale a carico di una signora che, ad eccezione dell’anno 2003, non aveva mai presentato una dichiarazione dei redditi.
A seguito degli accertamenti effettuati la signora risultava possedere numerose autovetture, alcune di lusso, risultava intestataria di un immobile, di diversi contratti di locazione, di dieci conti correnti attivi e di gestioni patrimoniali. La Guardia di Finanza emette quindi un avviso di accertamento. La signora ricorre contro il provvedimento sostenendo che tali redditi, provenendo dalla propria attività di prostituzione, non sono tassabili.
La Commissione Tributaria Provinciale di Firenze accoglie parzialmente il ricorso ma la sentenza viene contestata dall’Agenzia delle Entrate che propone appello.
Il Giudice di appello conferma in seguito che i proventi dell’attività da prostituzione devono essere tassati e compresi nella categoria residuale dei “redditi diversi”. Contro la sentenza d’appello la signora ha proposto un nuovo ricorso ma la Corte di Cassazione lo ha respinto affermando che:
- l’elemento comune dei diversi tipi di redditi considerati dal testo Unico delle imposte sui redditi è la derivazione del reddito stesso da una fonte produttiva;
- tale impostazione è stata poi ampliata da leggi successive che hanno stabilito che i proventi derivanti da attività illecita (civile, penale o amministrativa), se non sottratti con sequestro o confisca, sono sottoposti a tassazione e che i proventi illeciti sono comunque considerati redditi diversi;
- se sono considerati reddito i proventi derivanti da attività illecita a maggior ragione devono considerarsi reddito i proventi derivanti da attività di prostituzione, di per sé non illecita (infatti, è illecito solo il favoreggiamento o lo sfruttamento della prostituzione).
- nel caso specifico il giudice di merito ha accertato che la signora svolgeva autonomamente e liberamente tale attività ottenendo dei profitti e ha correttamente stabilito che tale attività è assimilabile al lavoro autonomo, se esercitato in forma abituale, o da redditi diversi se, sempre in modo autonomo, è esercitata in maniera occasionale.
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VERSO
2) La prostituzione è una attività di prestazione di servizi retribuita e quindi assimilabile al lavoro autonomo se svolta in modo continuativo e abituale. E’ comunque soggetta ad imposizione fiscale se è invece esercitata in modo occasionale poiché rientra nella categoria dei redditi diversi.
Corte di Cassazione, Sezione Tributaria Civile, 27 luglio 2016, n. 15596.
“…La Guardia di Finanza eseguiva una verifica fiscale nei confronti di…, che, pur non avendo mai presentato dichiarazione dei redditi (tranne che per l'annualità 2003), risultava intestataria di numerose autovetture anche di lusso, acquirente di un appartamento, titolare di vari contratti di locazione immobiliare; inoltre, dagli accertamenti bancari effettuati, .... risultava intestataria di dieci conti correnti attivi e di gestioni patrimoniali. Sulla base degli accertamenti effettuati, con particolare riguardo ai dati relativi ai versamenti sui conti correnti bancari, l'Agenzia delle Entrate emetteva avviso di accertamento per l'anno di imposta 2004 con il quale recuperava a tassazione ai fini Irpef un reddito imponibile di Euro 29.240.
Contro l'avviso di accertamento ....proponeva ricorso sostenendo la non tassabilità dei redditi accertati in quanto provento dell'attività di prostituzione dalla stessa esercitata. La Commissione tributaria provinciale di Firenze con sentenza n. 127 del 2008 accoglieva parzialmente il ricorso: riconosceva rilevanza reddituale ai proventi dell'attività di meretricio, ma riteneva che essi fossero soltanto quelli risultanti dai versamenti sui conti correnti effettuati in contanti, escludendo quelli effettuati mediante assegni.
L'Agenzia delle Entrate proponeva appello e … si costituiva proponendo a propria volta appello incidentale. Con sentenza n. 45 del 19.4.2011 la Commissione tributaria regionale di Firenze accoglieva l'appello principale della Agenzia delle Entrate e rigettava l'appello incidentale della contribuente. Il giudice di appello confermava che i proventi dell'attività di prostituzione dovevano essere compresi nella categoria residuale dei "redditi diversi" quale prestazione volontaria di un servizio dietro corrispettivo; riteneva corretta la rettifica del reddito effettuata dall'Ufficio a norma D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, con richiamo all'art. 39 ai soli fini della indicazione della metodologia di accertamento, senza che questo significasse contestazione di un reddito di impresa … per la sentenza integrale cliccare qui
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FRONTE
3) Street food. La vendita di prodotti alimentari in cattivo stato di conservazione e in condizioni non igieniche è sufficiente per condannare il venditore. Non è infatti necessario che i cibi siano marciti o che i consumatori abbiano subito danni alla salute.
Due persone sono accusate di detenzione di alimenti in cattivo stato di conservazione e di aver frodato i propri acquirenti convincendoli di acquistare prodotti diversi da quelli effettivamente venduti (per origine, provenienza e qualità). Agli accusati è inoltre contestato di aver collocato la roulotte utilizzata per la vendita in una zona in cui il Piano regolatore generale vieta le attività commerciali.
Quando il Corpo Forestale della Valle d’Aosta è arrivato presso il banco ambulante dei due trova formaggi e salumi esposti al sole e in cattivo stato di conservazione, coltelli utilizzati per il taglio dei formaggi sporchi e una situazione igienica particolarmente grave.
Il Tribunale di Aosta, esaminati i fatti, afferma che:
- la giurisprudenza ha da tempo chiarito che perché sussista la violazione delle norme sulla Disciplina igienica della produzione e della vendita di alimenti e bevande è sufficiente che il cattivo stato riguardi le modalità esterne di conservazione degli alimenti non essendo necessario verificare che l’alimento sia effettivamente avariato;
- si tratta infatti di un reato “di pericolo” e non “di danno”, per cui è sufficiente che vi sia il pericolo che un certo danno si verifichi, senza necessità che il danno stesso si concretizzi;
- in questo caso i formaggi ed i salumi, già divisi in pezzi, erano esposti all’aria e al sole per diversi giorni, senza protezione dagli agenti esterni come gli insetti, tali alimenti erano destinati al consumo umano senza essere cotti e perciò potenzialmente pericolosi;
- tra l’altro i due facevano credere di vendere Fontina DOP mentre si trattava di formaggio valdostano, sicuramente meno pregiato e meno costoso, cercando quindi di ingannare gli acquirenti;
- alla luce di tutto questo i due accusati devono considerarsi colpevoli dei reati di cui sono accusati e condannati al pagamento della multa prevista dalla legge;
- sono assolti invece dal reato urbanistico perché la roulotte è una struttura mobile, non infissa al suolo e dotata di ruote e pertanto non può essere considerata come fosse un comune negozio di alimenti.
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VERSO
3) Street food. La vendita di prodotti alimentari in cattivo stato di conservazione e in condizioni non igieniche è sufficiente per condannare il venditore. Non è infatti necessario che i cibi siano marciti o che i consumatori abbiano subito danni alla salute.
Tribunale di Aosta, Sezione Penale, 30 giugno 2016, n. 345.
“...A) reato di cui agli arti 110 c.p. e 5 lett. b) della legge n. 283 del 1962, perché in concorso fra loro, detenevano per la vendita prodotti alimentari in cattivo stato di conservazione.
In particolare, presso il chiosco ambulante all'insegna ... collocato per la stagione estiva in … (AO), detenevano salumi e formaggi esposti a temperature elevate che ne causavano il deterioramento ed in alcuni casi il compenetramento tra l'etichetta e la crosta esterna; mantenevano in scarse condizioni igieniche sia gli alimenti sia i coltelli da taglio, a causa dell'indisponibilità di acqua corrente; non impedivano - anche a causa della mancanza di un piano di autocontrollo aziendale - che a contatto con gli alimenti entrassero agenti infestanti quali mosche ed altri insetti.
B) reato di cui agli art. 156, 110, 515 c.p. perché, in concorso tra loro, compivano atti idonei e diretti in modo non equivoco a consegnare agli acquirenti cose mobili diverse da quanto dichiarato per origine, provenienza e qualità. In particolare, commercializzavano come Fontina al prezzo di 13 Euro/kg formaggio stagionato in realtà qualificabile come "Formaggio Valdostano".
Con la recidiva reiterata per il solo AU.
C) reato di cui agli arti 110, 44 lett. a)D.P.R. 380 del 2001 perché, in concorso fra loro, collocavano in zona "(...)", preclusa alle attività commerciali dal …. comunale, una roulotte utilizzata in modo tale da soddisfare esigenze permanenti di tipo commerciale.
Motivi Della Decisione
All'udienza dibattimentale del .., … e... chiedevano di essere giudicati nelle forme del giudizio abbreviato. Dall'esame degli atti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero, emerge pacificamente che in data 23/7/2015 il personale in servizio presso il Corpo Forestale della Valle d'Aosta si recava in … (AO), loc. .., presso il banco di vendita ambulante aperto dall’impresa individuale…
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FRONTE
4) L’azienda licenzia per aumentare il profitto: per la Cassazione il licenziamento è legittimo.
Una società che gestisce un resort di lusso in Toscana decide di eliminare la posizione di direttore operativo e di licenziare quindi il dipendente che la ricopre per alleggerire e semplificare la gestione aziendale. Il lavoratore, ritenendo pretestuoso il licenziamento, impugna il licenziamento in sede giudiziale e chiede al magistrato di essere reintegrato nel suo posto di lavoro. Il primo giudice respinge il ricorso mentre è di diverso avviso la Corte di Appello di Firenze che lo accoglie per i seguenti motivi:
- la società non ha provato che la soppressione del posto di direttore operativo sia stata dettata dalla necessità di far fronte a una situazione economicamente sfavorevole;
- si deve pertanto presumere che il licenziamento sia stato motivato solo dalla riduzione dei costi e quindi al solo scopo di voler aumentare il profitto dell’azienda.
La sentenza della corte fiorentina viene poi annullata dalla Corte di Cassazione che ha affermato i seguenti principi:
- l’ordinamento non prevede alcun obbligo per il datore di lavoro che intende licenziare un lavoratore per motivi organizzativi di provare una contrazione dei costi e una sfavorevole situazione di mercato;
- spetta all’imprenditore stabilire il numero dei dipendenti, evidentemente al fine di ottenere una gestione più economica dell’impresa e di perseguire il profitto che è lo scopo lecito di ogni attività imprenditoriale;
- in questa ottica la decisione di sopprimere una figura lavorativa per rendere più efficiente la gestione aziendale e aumentare la redditività dell’impresa deve ritenersi legittima.
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VERSO
4) L’azienda licenzia per aumentare il profitto: per la Cassazione il licenziamento è legittimo.
Corte di Cassazione, Sezione Lavoro,7 dicembre 2016, n. 25201.
“…1.— Con sentenza del 29 maggio 2015 la Corte di Appello di Firenze, in riforma della pronuncia di primo grado, accertata l'illegittimità del licenziamento intimato a …in data 11 giugno 2013 dalla ... Spa per giustificato motivo oggettivo, ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro e condannato la società a corrispondere al lavoratore 15 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.
La Corte territoriale, pur escludendo l'illiceità del recesso asseritamente "pretestuoso", non ha tuttavia condiviso l'assunto del primo giudice che aveva invece considerato legittimo il licenziamento in quanto "effettivamente motivato dall'esigenza tecnica di rendere più snella la cd. catena di comando e quindi la gestione aziendale".
La Corte ha sostenuto che, in mancanza di prova da parte del datore di lavoro dell'esigenza di fare fronte a sfavorevoli e non meramente contingenti situazioni influenti in modo decisivo sulla normale attività produttiva ovvero per sostenere notevoli spese di carattere straordinario, ogni riassetto dell'impresa "risulta motivato soltanto dalla riduzione dei costi e, quindi, dal mero incremento del profitto". La Corte, quindi, in difetto della suddetta prova gravante sulla società, non reputando "sufficiente la dimostrazione dell'effettività della riorganizzazione", ha tratto la conseguenza, ritenendo assorbita ogni altra questione quale l'obbligo di repêchage, della non ricorrenza di un giustificato motivo oggettivo di licenziamento.
2.- Per la cassazione di tale…
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FRONTE
5) Per ritenere configurabile un testamento olografo è sufficiente la semplice nomina di un erede desumibile dalla manifestazione di volontà con cui una persona dispone delle proprie sostanze per il tempo in cui avrà cessato di vivere.
Alla morte del padre uno dei figli si rivolge al Tribunale affermando che i propri diritti ereditari sono stati lesi perché il genitore ha lasciato solo una lettera che lui non considera come un testamento e nella quale viene escluso dall’eredità.
Gli altri due figli sostengono invece che il defunto genitore ha disposto delle proprie sostanze con lettera assimilabile ad un testamento olografo ovvero ad un testamento scritto per intero, datato e sottoscritto dal testatore. Il Tribunale e la Corte di Appello di Venezia gli danno torto e la controversia giunge davanti alla Corte di Cassazione.
La Cassazione, dopo aver considerato corretto l’operato del Tribunale e della Corte d’Appello, chiarisce che anche la semplice nomina con cui il defunto designa il suo successore con una disposizione patrimoniale dei propri beni, è sufficiente a qualificare tale atto come un testamento. Infatti contiene una manifestazione di volontà con la quale una persona dispone delle proprie sostanze per il tempo in cui avrà cessato di vivere. La Corte dichiara comunque inammissibile il ricorso perché:
- è’ sbagliato sostenere che si sia di fronte a una “lettera di intenti” o a “un progetto di testamento”;
- nessun errore è stato quindi compiuto dalla Corte di Appello. E’ il ricorrente che vuole indurre la Corte di Cassazione ad un’inammissibile indagine sul merito della vicenda mentre questa può effettuare solo il controllo sulla motivazione della sentenza impugnata.
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VERSO
5) Per ritenere configurabile un testamento olografo è sufficiente la semplice nomina di un erede desumibile dalla manifestazione di volontà con cui una persona dispone delle proprie sostanze per il tempo in cui avrà cessato di vivere.
Corte di Cassazione, Sezione II Civile, 10 gennaio 2017 n. 336.
“..Nel gennaio del 2003 … agiva in divisione ereditaria dei beni
relitti ab intestato dal padre. …., verso i … e … e il nipote ex fratre…, succeduto per rappresentazione dell'altro fratello, … premorto. Il tutto previa collazione e riduzione di donazioni poste in essere dal de cuius in favore di ... e ….
Questi ultimi due nel resistere in giudizio eccepivano la natura testamentaria della successione, avendo il de cuius disposto delle sue sostanze con testamento olografo che aveva istituito loro soltanto come eredi.
Chiedevano, quindi, il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la condanna dell'attore a restituire la somma di lire 20 milioni mutuatagli dal de cuius si costituiva chiedendo unicamente di partecipare alla
divisione ereditaria.
Con sentenza n. 803/06 l'adito Tribunale di Verona, accertata l'esistenza del testamento, rigettava la domanda principale e accoglieva la riconvenzionale condannando … a pagare a …ed …la somma di 10.748,50, oltre interessi legali e rivalutazione.
Tale sentenza era sostanzialmente confermata, salvo la rivalutazione del suddetto credito, dalla Corte d'appello di Venezia. con sentenza n. 184/12.
Limitatamente a quanto ancora rileva in questa sede di legittimità…
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per la cortesia di Avv. Ileana Alesso e di Avv. Maurizia Borea