Dopo l’8 settembre del 1943, era iniziato lo sfacelo per l’esercito italiano, il 10 settembre Roma diventava città occupata, mancava tutto, elettricità, gas, generi alimentari. Bombardamenti e mitragliamenti notturni, il coprifuoco, rastrellamenti, sequestri di vettovaglie e cose, violenze e ritorsioni. Ebrei che fuggivano alla caccia spietata dell SS, militari allo sbando che cercavano di rientrare a casa, soppressione di molte corse dei treni.
Il contesto storico, il clima con il quale doveva convivere il personale della ferrovia, ha contribuito sicuramente al verificarsi di questa tremenda disgrazia.
Ecco quanto raccontato sulla Gazzetta della Flaminia del dicembre del 1988. Il convoglio partito da Viterbo alle ore 18 e diretto a Roma, composto da cinque carrozze e due motrici, era stracolmo di viaggiatori, fermo alla stazione di Sant’Oreste. Molti di loro si erano recati in provincia per acquistare direttamente dai contadini, beni alimentari, dato che in città scarseggiava tutto.
Per un errore umano, il macchinista proseguì in direzione della Capitale. Una motrice e quattro carrozze provenienti da Roma, fermo alla stazione di Rignano Flaminio, invece di attendere la coincidenza, forse a causa di un’incomprensione telefonica, ripartì.
In curva, all’altezza del cimitero di Rignano Flaminio, precisamente al passaggio a livello, i due treni si scontrarono. Un boato simile a quello di una bomba aerea, fece accorrere una contadina che stava accudendo il pollaio, sito nelle vicinanze. La poveretta alla vista di quello spettacolo allucinante, corse a chiamare aiuto a Rignano, percorrendo di corsa circa un chilometro della via Flaminia.
Quando giunsero i primi soccorsi, una colonna militare tedesca, diretta a Cassino, stava già prestando aiuto ai feriti insieme ad alcuni volontari.
Due motrici erano riverse a V sulla Flaminia, alcune carrozze erano incastrate l’una dentro l’altra.
Due motrici erano riverse a V sulla Flaminia, alcune carrozze erano incastrate l’una dentro l’altra.
La scena era terribile, urla dei feriti intrappolati nelle carrozze, morti, sangue che colava dalle portiere delle carrozze. La pioggia che cadeva implacabile (giornate del 14-15-16 novembre del 1943) aveva formato un fiume rosso che scorreva sul ciglio della strada. Le autovetture dirette a nord, portavano i feriti all’ospedale di Civita Castellana, quelle dirette a sud, portavano feriti nei nosocomi della Capitale. I morti, furono posti dai militari tedeschi, sul sagrato della Chiesa S. Teodora.
All’inizio erano 84. Poi ricomponendo alcune membra umane si arrivò a contarne oltre 100, il giorno successivo, l’odore nell’aria era nauseabondo.
Gli episodi singoli furono tanti, si racconta della sparizione di un detenuto che doveva essere portato a Roma. Alla fine della guerra un funzionario della Questura di Viterbo, interrogando il custode del cimitero di Rignano, seppe che uno dei passeggeri aveva le manette, fu così semplice identificare il detenuto e le guardie di scorta.
Commovente la storia della famiglia Lo Russo. Riccardo Lo Russo di 42 anni, padre di 7 figli, viaggiava su quel treno. Non essendo rientrato a casa, il giorno successivo il figlio con la mamma appresero del decesso del congiunto, recandosi alla direzione della Ferrovia Roma nord. Giunti a Rignano Flaminio il giorno successivo, il figliolo Giuseppe Lo Russo racconta che il sagrato della Chiesa di S.Teodora, era pieno di salme decapitate, smembrate. Il corpo del padre fu recuperato ed i funerali si svolsero a Roma.
In mezzo a questo dramma, lo sciacallaggio umano non aveva limiti. Le compagnie di assicurazione mandavano loro “procacciatori di affari” per liquidare con pochi spiccioli gli sfortunati parenti, che spesso non avendo i soldi per i funerali, si accontentavano di rimborsi irrisori.
Altro episodio sconcertante, come é stato raccontato, era la presenza di un giovane sul luogo dell'incidente che si affannava ad aiutare i soccorritori a ricomporre le salme delle vittime. Notato dai tedeschi fu perquisito e trovato in possesso di numerosi portafogli, fu caricato su un camion diretto a Roma insieme ai feriti. Certamente non fece una fine allegra.
Giuseppe Lo Russo, come raccontava lui stesso, per sfamare i suoi 6 fratelli, dovette mettersi a lavorare all’età di 14 anni.
Solo una semplice lapide posta all’ingresso del cimitero di Rignano Flaminio, intorno all’anno 2000, ricorda tutti quei poveri morti. Sul posto c'é anche una stele eretta dal personale della ferrovia, in memoria del messo postale (che all'epoca viaggiava nel bagagliaio della motrice) e del personale in servizio sul treno.
http://www.ferroviaromanord.altervista.org/una_terribile_di…
Sul sito anche una rarissima immagine dell'incidente (sullo sfondo il Monte Soratte)
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Sul sito anche una rarissima immagine dell'incidente (sullo sfondo il Monte Soratte)
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