le richieste di accesso agli atti che abbiamo presentato finora sul Pnrr. Anche se negli anni la disponibilità di dati è progressivamente aumentata, ci sono ancora gravi lacune. In particolare mancano due informazioni di grande rilevanza di cui a oggi si hanno notizie molto frammentarie. E cioè lo stato di avanzamento procedurale e anche quello finanziario dei progetti. Per questo abbiamo presentato un nuovo Foia.
i progetti finanziati dal Pnrr secondo i dati aggiornati al 4 dicembre 2023. Di questi interventi conosciamo il contenuto, le risorse, il territorio e il soggetto attuatore. Come abbiamo anticipato, non conosciamo il loro stato di avanzamento, ma c’è una criticità ancora più grave. Cioè che questo aggiornamento non include le modifiche approvate, anch’esse a dicembre, sul Pnrr italiano. In altre parole non sappiamo se le informazioni a oggi disponibili corrispondano alla situazione reale.
decreto legge da pubblicare per rendere il nuovo Pnrr operativo. È dalla sua approvazione a dicembre che attendiamo l’entrata in vigore del decreto Pnrr quater, che attiverebbe le modifiche effettuate sul piano originale. Tuttavia a oggi ancora manca, così come continuano a mancare informazioni e dati dettagliati su misure e importi modificati e aggiunti.
l’importo del nuovo Pnrr. È una delle poche informazioni che abbiamo riguardo la revisione dell’agenda. I finanziamenti europei sarebbero quindi aumentati di 2,9 miliardi rispetto agli iniziali 191,5. Di questi, 11 miliardi sono destinati alla nuova missione del piano dedicato al capitolo energetico RepowerEu.
le misure del Pnrr aggiuntive o a cui sono state apportate modifiche sostanziali. Non conosciamo gli interventi di revisione in modo dettagliato, ma possiamo ricostruirne il numero e i motivi. In 42 casi le misure sono state modificate perché nel frattempo sono state individuate alternative migliori per la realizzazione degli interventi previsti. In altri 28 casi poi la modifica è stata dovuta all’aumento dei prezzi causato dall’inflazione.
L’abuso dei decreti legge e le incognite di una riforma costituzionale
Il ricorso eccessivo ai decreti legge porta a diverse conseguenze negative. Il parlamento infatti ha solo 60 giorni per convertirli in legge. Un tempo adatto ad affrontare occasionalmente questioni urgenti e specifiche ma che diventa insufficiente se l’esecutivo tende a ricorrere a questo strumento con troppa frequenza. Una modalità che peraltro lascia pochissimo spazio alle camere per dedicarsi ad altro che non siano le proposte di legge di iniziativa governativa. Questo ha portato gli esecutivi a ricoprire un ruolo sempre più centrale anche per quanto riguarda l’iter legislativo. Data questa situazione, ai parlamentari rimangono pochi margini di manovra e spesso l’unico modo che hanno per intervenire è quello di proporre emendamenti alle leggi di conversione.
In questo contesto, il centrodestra ha presentato recentemente due proposte di revisione costituzionale che punterebbero ad estendere i tempi per la conversione a 90 giorni. In questo modo le camere avrebbero più tempo per esaminare i Dl e presentare eventuali proposte di modifica. Si possono comprendere le ragioni che hanno portato a questa proposta, al contempo però emergono gravi criticità. Tale riforma infatti andrebbe e legittimare ancora di più l’abuso dei decreti, comprimendo ulteriormente le prerogative delle camere.
Con un recente decreto il governo ha modificato la disciplina che stabilisce il numero massimo di mandati per i sindaci. Se nei grandi comuni il limite resta di due mandati consecutivi, in quelli tra 5 e 15mila abitanti viene aumentato a tre e in quelli più piccoli viene eliminato del tutto.
La competenza a decidere su questa materia spetta sicuramente allo stato. Tuttavia sia la giurisprudenza che la dottrina concordano sullo stretto legame tra elezione diretta e limite al numero di mandati. In effetti, in una sentenza recente, la corte costituzionale ha definito questo limite come la garanzia alla democraticità stessa per enti locali. Sembra evidente dunque che decidere di abolire del tutto il limite ai mandati presenti dei rischi.
Il decreto inoltre va inquadrato in un contesto politico in cui si moltiplicano le iniziative tese a rafforzare il potere esecutivo a tutti i livelli di governo: dai sindaci ai presidenti di regione, fino ad arrivare alla stessa presidenza del consiglio dei ministri.
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Il governo deve intervenire sulla capacità amministrativa dei comuni
All’interno della revisione del piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) sono state modificate e definanziate numerose misure. In particolare il governo Meloni ha chiesto e ottenuto la rimozione di alcuni degli investimenti che prevedevano la maggior frammentazione delle risorse. Si tratta delle misure che distribuiscono i fondi Pnrr attraverso bandi pubblici ai quali i comuni italiani possono partecipare presentando i propri progetti.
È una scelta legata alle difficoltà di questa procedura: le amministrazioni, in particolare le più piccole e periferiche e quelle del sud del paese, spesso non hanno nel loro organico le competenze necessarie alla gestione di questi processi amministrativi complessi. E gli interventi che il governo finora ha messo in campo per integrare e potenziare il comparto amministrativo nei comuni evidentemente non risultano sufficienti. Va ricordato come una delle priorità del Pnrr sia proprio quella di appianare i divari territoriali interni al paese: eliminare il problema, invece di risolverlo, non va in questa direzione.
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