Il governo ha finalmente pubblicato i dati sulle misure del nuovo Pnrr
A fine aprile la piattaforma governativa Italia domani ha condiviso alcuni dei dati che abbiamo chiesto nella nostra ultima richiesta di accesso agli atti (Foia). Si tratta degli importi delle misure e dell'avanzamento procedurale dei progetti. Possiamo considerarlo un risultato positivo, effetto della continua domanda di trasparenza sul piano che avanziamo fin dal suo avvio.
Tuttavia permangono alcune lacune e criticità, per le quali continueremo a chiedere chiarezza. In primis non sono ancora stati pubblicati i dati sull'avanzamento economico e finanziario dei progetti. Nel dataset condiviso sulle misure manca la loro descrizione e, per le submisure, l'indicazione di quale sia l'intervento più ampio in cui sono incluse. In quello sui progetti invece, la classificazione degli stati di avanzamento varia in base alla natura dell'intervento, ostacolando un'analisi complessiva sull'andamento dei lavori. Inoltre, le date di inizio e fine degli interventi sono almeno in parte scorrette.
Non tutti partecipano nello stesso modo alle attività che generano i cambiamenti climatici. Si parla spesso dei diversi contributi dei paesi, con quelli più poveri che risultano più colpiti nonostante inquinino di meno. Tuttavia le differenze sussistono anche, e anzi soprattutto, tra classi sociali all’interno dei singoli stati, come evidenzia il world inequality lab. A livello globale, infatti, nel 2019 il 10% più ricco della popolazione era responsabile del 48% delle emissioni totali.
In Europa le differenze sono meno marcate che altrove, ma comunque il 10% più ricco della popolazione causa 5,7 volte le emissioni del 50% meno abbiente: 29,2 tonnellate di Co2 equivalente annue pro capite contro 5,1. In Lussemburgo il valore arriva a 106,4 tonnellate. Inoltre, in molti paesi le emissioni della fascia più ricca della popolazione sono in aumento. E anche l’Italia ha ancora molta strada da fare, avendo registrato un calo evidente rispetto ai primi anni duemila ma essendo ancora lontana dai valori dell'inizio degli anni '80.
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Un tema di cui si parla sempre troppo poco nel dibattito pubblico è quello riguardante i decreti attuativi. Cioè tutti quegli atti di secondo livello (decreti della presidenza del consiglio, decreti ministeriali, regolamenti, direttive) che servono a definire aspetti pratici, burocratici e tecnici necessari per applicare le leggi. Un “secondo tempo” dell’iter spesso ignorato, senza il quale però molte misure restano solo sulla carta. Anche se negli ultimi anni si è cercato di limitare il ricorso a questo tipo di atti, privilegiando la definizione di norme auto-applicative, sono ancora molti i provvedimenti necessari che mancano all’appello. Erano infatti ben 520 alla data del 5 aprile 2024.
Si tratta di un dato in aumento rispetto al nostro ultimo punto sul tema (+78). Per questo è importante mantenere alta l’attenzione. In molti casi peraltro da questo tipo di atti dipende la definizione della modalità di selezione dei soggetti – pubblici e privati – che hanno diritto ad accedere a una qualche forma di finanziamento pubblico. Eventuali ritardi nell’emanazione dei decreti attuativi possono quindi portare alla mancata erogazione di risorse che sarebbero già disponibili. Nel complesso, ammontano a oltre 12 miliardi i fondi da sbloccare tramite le attuazioni.
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Nel parlamento a numeri ridotti ci sono ancora tanti assenteisti
Il tema della partecipazione dei parlamentari ai lavori delle rispettive camere riscuote sempre grande attenzione da parte di media e opinione pubblica. D’altronde deputati e senatori, oltre a un dovere di natura morale, hanno anche obblighi specifici definiti dalle norme. Nell’attuale legislatura il livello medio di partecipazione è abbastanza alto ma ci sono comunque numerosi casi di assenteismo.
Ciò anche al netto dei parlamentari che vengono considerati come “in missione” e risultano quindi presenti anche se di fatto non lo sono. È il caso ad esempio di chi ricopre incarichi di governo. Tale istituto tuttavia ha ancora molte zone d’ombra e non riguarda solo i componenti dell’esecutivo. In molti casi risulta impossibile capire la ratio con cui ai deputati e ai senatori viene concesso questo status. Questo dovrebbe spingere a delle riflessioni, non solo sull’opportunità di una maggiore trasparenza nell’utilizzo di questo strumento ma anche sul tema degli incarichi multipli. Fattore che, impedendo a molti parlamentari di partecipare ai lavori, indebolisce ulteriormente un’istituzione in crisi.
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