Le donne cambiano la Storia, cambiamo i libri di Storia.

Le donne cambiano la Storia, cambiamo i libri di Storia.
LE DONNE CAMBIANO LA STORIA, CAMBIAMO I LIBRI DI STORIA

2 settembre 2007

AK newsletter n.21

NEWSLETTER N. 21
Informazione libera di accademia kronos
31 agosto 2007

Sommario
solo una grande catastrofe globale salverà la vita sul nostro pianeta;
uno squallido attacco di "Il Secolo XIX" alle organizzazioni ambientaliste;
resoconto da Vienna del meeting UNFCC sugli impegni per il post-Kyoto;
incendi boschivi una calamità mediterranea.


Solo una grande catastrofe globale salverà la vita sul nostro pianeta.
(di Ennio La Malfa)

Questa è la sconcertante affermazione di due giovani studenti universitari neozelandesi apparsa a luglio di quest’anno su uno dei tanti siti internet che parlano del futuro dell’umanità. E’ stato un nostro socio ad informarci.
Questi due studenti in effetti hanno "costruito" un modello matematico, vi hanno inserito vari dati e alla fine ne hanno tratto i risultati finalizzati alla seguente domanda: -"Con l’attuale aggressione all’ambiente naturale, con il fenomeno del Global Change e con il crescente inquinamento dell’aria, dei mari e dei suoli, la vita intelligente, fino a quando potrà sopravvivere su questo pianeta?"-

Noi sul lavoro di questi studenti ci abbiamo riflettuto, non abbiamo trattato la loro ricerca come la solita burla, anzi l’abbiamo presa in seria considerazione. Quindi abbiamo cercato di ripetere l’esperimento. Abbiamo chiesto aiuto ad amici e soci esperti di studi statistici e matematici, abbiamo impostato un programma di acquisizione dati, fornito delle priorità e attivato i nostri computer. Gli elementi forniti al computer per i calcoli e la soluzione dei problemi sono stati raccolti in tre gruppi:
Elementi reali, confermati e , quindi, acquisiti dal mondo della scienza, dell’economia e della politica internazionale;
Elementi previsti nel prossimo futuro, ma comunque certi;
Elementi prevedibili, non ancora confermati, sottoposti anche a molteplici variabili, ma comunque possibili.
Tra gli elementi reali e attuali(A), abbiamo inserito: un’ulteriore crescita della popolazione mondiale; la diminuzione degli spazi verdi per far posto alle città in espansione; la richiesta crescente di cibo; l’aumento della pressione di pesca sui mari del pianeta; la perdita di fertilità dei terreni agricoli a causa dell’eccessivo uso di prodotti chimici; la continua estensione dei terreni semiaridi, aridi e desertici; la distruzione dei boschi e delle foreste per disboscamenti selvaggi e incendi; l’aumento della temperatura della biosfera; l’incapacità degli attuali governi dei Paesi più industrializzati della Terra ad operare con fermezza e con idee chiare per bloccare l’effetto serra, ecc.ecc.
Tra gli elementi futuri, ma certi(B), abbiamo inserito: l’aumento quasi in progressione geometrica della richiesta dei beni primari e secondari da parte di nazioni in rapido sviluppo industriale come La Cina, L’India e il Brasile; la crisi mondiale dell’acqua in Africa e Asia; le fughe bibliche di intere popolazioni africane verso l’Europa; l’aumento esponenziale della richiesta delle risorse energetiche; i tempi troppo lunghi per la ricerca e la sostituzione dei combustibili fossili con altre fonti alternative e rinnovabili; l’aumento di gravi patologie derivanti dalla crescita della temperatura globale; il trend di aumento della temperatura del mare con conseguenze disastrose lungo le coste a causa della fusione dei ghiacci antartici, con inondazioni, fenomeni meteorologici estremi e con il rilascio in atmosfera di altra CO2; il completo scioglimento del permafrost con immissione in atmosfera di metano ( gas serra 23 peggiore del CO2), ecc.
Tra gli elementi prevedibili che in futuro potrebbero influenzare negativamente la vita sul pianeta (C) abbiamo inserito: l’aumento delle Radiazioni Elettromagnetiche del Sole; l’aumento della temperatura terrestre da 2 gradi a 4 gradi entro 20 anni; le crisi alimentari a livello planetario anche nelle nazioni oggi non a rischio, il crollo delle economie più importanti del pianeta; il riscatto dell’Islam sull’occidente, le guerre per le risorse primari e per l’acqua; le guerre di sopravvivenza in Africa, ecc. ecc.
Tra gli elementi positivi abbiamo inserito: il raggiungimento mondiale di un accordo che preveda la riduzione di gas serra nell’atmosfera del 20% ( a fronte del 60%) entro il 2015; la nascita di un ente sovranazionale che disciplini lo sviluppo sostenibile del pianeta e, in ultimo, l’inizio della diminuzione della popolazione mondiale.
Tra calcoli sulle probabilità, equazioni e quant’altro le risposte fornite dai nostri esperti con la collaborazione determinante di vari programmi inseriti nei computer, sono state per la quasi totalità negative.
Il primo risultato, che ci ha lasciati sbalorditi, è stato quello che ha dimostrato che se tutta l’attuale popolazione del pianeta raggiungesse gli standard di vita di noi europei, non basterebbe più questo pianeta a soddisfare le esigenze primarie, ma ne servirebbero altri 3. Le altre risposte danno per inevitabile che ci potrà essere entro venti anni il collasso delle grandi economie planetarie. Esse infatti dovranno far fronte ad emergenze sempre più incalzanti come la scarsezza dell’acqua, la riduzione delle fonti primarie di energia fossile, i profondi cambiamenti climatici che determineranno drastiche riduzioni delle produzioni agricole, fenomeni violenti meteorologici che causeranno danni non solo all’agricoltura e alle infrastrutture, ma alle persone e agli animali. Anche i Paesi più sviluppati, come l’Italia, dovranno far fronte ai problemi della fame e delle malattie epidemiche climatiche. Ma non finisce qui! Sono previste altre "iatture" che sarebbe troppo lungo elencare in questa sede.

Alla domanda: –"cosa fare subito per scongiurare ciò?"-, la risposta è stata: fermarsi subito, non immettere più nell’atmosfera gas serra; bloccare le nascite in tutto il pianeta per almeno 8 anni; ridurre il carico di pressione pesca sui mari del 50%; bloccare lo sviluppo espansivo delle città; ridare vitalità ai terreni agricoli; ripompare acqua dolce nelle falde freatiche; aumentare del 20% la copertura forestale in America Latina, Asia e Africa; rimodellare la vita sociale su parametri compatibili con le sopravvivenza del pianeta. In parole povere per
noi beati europei vorrà dire: via le seconde e terze case, via i Suv, le auto inquinanti, via la caccia per hobby sia in terra che in mare, basta con i consumi voluttuari inquinanti. Non solo, ma sarà necessario rivedere profondamente la logica dell’aumento continuo ed infinito dei prodotti interni lordi (PIL). Una nazione non può più identificare il proprio successo e sviluppo sull’aumento di produzione infinita di beni primari e secondari, né sull’aumento del fatturato delle sue aziende. Tutto ciò oggi vuol ancora dire sacrificare ulteriori spazi della natura per produzioni molte volte inutili. Una nazione che vuol salvarsi dalla grande ed incombente crisi deve cominciare a riflettere su quello che da economisti preveggenti già negli anni 70 fu definito: " Lo Sviluppo Zero".
Ma questa è solo una parte di ciò che servirebbe per salvare il pianeta e l’uomo. Tuttavia va considerato il fatto concreto che alla Terra dell’uomo non gli interessa nulla. Essa nella sua lunga storia ( più di 4 miliardi di anni) ha avuto ben 8 estinzioni di massa, ma poi la vita lentamente è ricominciata. Che per colpa di questa umanità scompaia la vita sul pianeta poco importa, essa alla fine ritornerà anche senza più l’uomo. Quindi siamo noi che dobbiamo temere e non il nostro pianeta.
Sono molte di più e molto di più articolate le soluzioni che potrebbero scongiurare la paventata ecocatastrofe, tuttavia anche questo nostro piccolo esperimento dovrebbe farci capire che non c’è più tempo di demagogie e di "furbate". Nella barca che sta per affondare ci siamo tutti, anche i grandi della Terra, gli stessi inquinatori, i grandi capitalisti e infine gli ambientalisti, quelli seri, gli unici che con i loro "gridolini" cercano di non fare affondare la barca.
Ultimo quesito del nostro problema richiesto ai computer era: "Ma se queste soluzioni non venissero adottate entro 10 anni cosa servirebbe per salvare la vita sul nostro pianeta? Risposta sconvolgente: "un azzeramento delle attività umane, una specie di annullamento della stessa umanità. Forse una catastrofe che riportasse l’umanità come numero al periodo di Cristo, cioè 300 milioni di abitanti in tutto il globo. In questo modo l’uomo avrebbe il tempo di riflettere e di rifondare una nuova società, sicuramente meno aggressive nei confronti dell’ambiente e dell’uomo stesso.



UNO SQUALLIDO ATTACCO ALLE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE RICONOSCIUTE, DA PARTE DEL QUOTIDIANO "IL SECOLO XIX"

Giorni fa sul quotidiano ligure è apparso un articolo dal titolo "Business verde, ma quanto costi", uno sproloquio di imprecisioni e di attacchi alle organizzazioni ambientaliste che, secondo l’articolista, fanno solo business e non impegno ambientale. In particolare parlando di noi si è tentato di ridicolizzarci solo perché l’articolista ha trovato in una città della provincia di Savona un questionario indirizzato ai comuni che volevano aderire al premio Un Bosco per Kyoto.
La risposta non si è fatta attendere:
Viterbo,29.08.07
Alla c.a. Direttore de "IL SECOLO XIX
o di chi per Lui.

Caro Direttore,
in riferimento all’articolo apparso il 25 agosto, dal titolo: Business "verde", ma quanto costi", in qualità di presidente di questa associazione tengo a far notare che non si può estrapolare una frase da un romanzo e poi pretendere di dare un giudizio a tutta l’opera. Il fatto di aver trovato o ricevuto un nostro questionario sul Bosco per Kyoto, rivolto ai comuni "virtuosi nell’ambiente", non consente di comprendere nella sua totalità il progetto che si chiama appunto: "Un Bosco per Kyoto". E‘ necessario, per chi vuol fare giornalismo serio, conoscere e valutare prima di tutto il contesto di un evento o di un progetto e poi dare a questo un giudizio.
Un bosco per Kyoto, inizialmente, nel 1999, si chiamava "Bosco Italia" , fu voluto dall’allora Presidente della Repubblica Ciampi ed ora, sotto il nuovo nome, è sostenuto dall’attuale Presidente Napolitano. Il progetto non è rappresentato solo dall’azione di inviare questionari ai comuni, ma soprattutto da quella di visitare fisicamente comuni e comunità montane ( vedere la nostra galleria fotografica) dove incontrare la gente per informarla e formarla, infatti con la collaborazione del CFS organizziamo corsi per costituire nuclei di sentinelle dei boschi. Oltre a ciò produciamo pubblicazioni e audiovisivi sulla prevenzione incendi boschivi e sul fenomeno dei cambiamenti climatici per le scuole.
Un Bosco per Kyoto, poi, ogni anno si conclude a Roma, al Campidoglio, dove vengono assegnati premi speciali a personalità della scienza e della società di ogni parte del mondo che realmente collaborano per salvare il pianeta.
Del resto sul nostro sito: http://www.accademiakronos.it/ nel link multimedia ci sono le testimonianze fotografiche e filmate su quanto stiamo facendo sia in Italia che in molti altri Paesi del Mondo.

Pertanto l’esternazione dell’articolista Massimiliano Lenzi nei nostri confronti ci è sembrata molto fuori posto ed oltretutto offensiva.

Si chiede pertanto e cortesemente di rettificare quanto scritto e, semmai, presentare Accademia Kronos( le cui origini sono lontanissime nel tempo, come scritto sul nostro sito) non come un’accozzaglia di furbastri che cavalcando la "tigre" dell’ecologia vuole rubare soldi allo Stato, ma come un’organizzazione presente sul territorio dal 1970 che nel tempo ha acquisito qualche importante merito, di cui è possibile scoprirlo sempre nel nostro sito. Caro Direttore ora andiamo in Africa a fare un qualcosa che non è un’operazione salottiera, ma un qualcosa che caratterizza da sempre l’impegno reale della nostra associazione ( le allego il comunicato stampa). Tutto questo senza rubare soldi allo Stato, ma solo contando sui nostri sforzi e sacrifici, autotassandoci e mettendo il nostro tempo libero a disposizione dei progetti umanitari e ambientali di Accademia Kronos, per questo motivo non crediamo di meritare l’umiliazione del Suo articolista.
Con Stima
Ennio La Malfa, presidente di Accademia Kronos


SPECIALE
Da Vincenzo Ferrara
Cosa è successo a Vienna per il meeting UNFCC sugli impegni per il post-Kyoto (tra i paesi che hanno ratificato Kyoto) e sul dialogo per il lungo termine (tra i paesi che NON hanno ratificato Kyoto e quelli che lo hanno ratificato). Qui il resoconto dei lavori.
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GIORNO 27 agosto 2007
Dopo la cerimonia di apertura ci sono state dichiarazioni e "statements" vari dei vari Paesi. Niente di nuovo rispetto alle solite posizioni di principio, ormai note e ripetitive. Le uniche due novità sono state le seguenti:
1) Proposta AOSIS
I paesi AOSIS (l'Alleanza degli stati delle piccole isole, che comprende 43 paesi delle piccole isole di cui 22 in via di sviluppo), hanno chiesto che nella fase post 2012, i paesi in via di sviluppo siano suddivisi in due categorie:
- paesi poveri: quelli che non emettono gas serra, o ne emettono in quantità insignificanti a livello globale, ma che subiranno i maggiorii danni dei cambiamenti del clima e non sono in grado di "adattarsi"
- paesi emergenti: quelli che emettono gas serra in modo significativo, o sempre più significativo, a livello globale, e che saranno in grado di far fronte ai danni dei cambiamenti climatici, ma anche di adattarsi.
Di conseguenza impegni ed obblighi dovranno essere commisurati su tre categorie di paesi:
- quelli industrializzati, che dovranno procedere all riduzione delle proprie emissioni e finanziare il processo di adattamento ai paesi poveri,
- quelli emergenti, che dovranno procedere a ridurre le proprie emissioni e, ove possibile, aiutare i paesi più poveri;
- quelli poveri, che non avranno obblighi o impegni di riduzione delle emissioni, ma diritti ad essere risarciti per i danni provocati dai paesi precedenti.
2) Indizi sulla proposta USA
In base agli interventi dei delegati USA, si è capito (o almeno si è lasciato capire) che:
- gli USA intendono coinvolgere in un accordo "ad hoc" i paesi (sviluppati ed in via di sviluppo) che sono i maggiori emettitori globali di gas serra, in pratica oltre ai paesi industrializzati anche Cina, Inda, Brasile, Messico, Corea, Sud-Africa salvo altri;
- l'accordo " ad hoc" dovrebbbe mettere in moto un mercato internazionale sul commercio delle quote (o dei permessi) di emissione in cui entrano a far parte anche i crediti di emissione (convertiti in permessi di emissione) acquisiti attraverso il "clean development mechanism" con i paesi in via di sviluppo che non fanno parte dell'accordo "ad hoc";
- gli obiettivi dell'accordo (riduzione delle emissione e tempi di riduzione) non sono obblighi vincolanti, ma sono impegni volontari "a tempo limitato" che periodicamente verranno rivisti attraverso un meccanismo di "pledge and review";
- l'accordo deve mettere in moto una crescita socio economica, in cui la lotta ai cambiamenti climatici e la protezione dell'ambiente sono parti integranti della libera economia di mercato e devono, pertanto, rappresentare un investimento economicamente produttivo.


28 AGOSTO
Ieri, 28 agosto, Yvo De Boer, ha illustrato il rapporto UNFCCC sulle questioni finanziarie, le cui conclusioni dicono che per arrestare la crescita delle emissioni di gas serra entro il 2030, anni occorrono investimenti annui mondiali pari a 200-220 miliardi di dollari (come da notizie di stampa già apparse in questi giorni). In relazione a quanto sarà efficace questo processo di riduzione o contenimento delle emissioni, potrebbero servire, in aggiunta, da un minimo di 50 ad un massimo di 170 miliardi di dollari l'anno, per finanziare adeguati piani di adattamento nazionali, soprattutto nei paesi in via di sviluppo.
Data la enormità di queste cifre, la maggior parte dei delegati presenti ha reagito proponendo di studiare meccanismi e modalità di riduzione delle emissioni che penalizzino le risorse nazionali e non distorcano i mercati internazionali, cioè meccanismi che siano economicamente convenienti, come, per esempio, quello del mercato delle quote di emissione, quello degli investimenti in tecnologie pulite nei paesi in via di sviluppo (in cambio di crediti alle emissioni) o altri meccanismi che dovranno essere ricercati.
Quindi, pur con varie sottolineature, o diversi punti di vista,, sembra esistere un consenso generale dei delegati all'ipotesi di mettere a punto meccanismi economico-finanziari, e di mercato, per rendere conveniente e competitiva la riduzione delle emissioni, salvo l'opposizione dell'AOSIS.
L'AOSIS ha,infatti, proposto un meccanismo diverso: le emissioni devono rappresentare un costo per gli emettitori. In altre parole, l'AOSIS punta sull'ipotesi di far pagare le emissioni con una qualche tassa idonea allo scopo, cioè rapportata sia alle quantità di emissioni sia alla tipologia delle emissioni. I proventi derivanti da questa tassa dovranno essere accantonati in un fondo finanziario, che servirà per finanziare la realizzazione di progetti, azioni e misure di l'adattamento ai cambiamenti climatici nei paesi più poveri.
I paesi più poveri, che sono i meno responsabili dei cambiamenti climatici, sono, infatti, quelli che subiranno le maggiori conseguenze negative ed i danni dei cambiamenti del clima. Ebbene, sottolinea l'AOSIS, questioni di equità e di giustizia internazionale impongono che chi si rende responsabile dei danni altrui, provveda a prevenirli e a pagarli.
Vienna Climate Change Talks 2007
27-31 agosto 2007
30 AGOSTO
Per quanto riguarda gli impegni da assumere, per il secondo periodo, dopo il 2012 per i paesi che hanno ratificato il protocollo di Kyoto, è stato analizzato il documento di base preparato dal segretariato UNFCCC e dal presidente Charles del gruppo di lavoro sugli impegni.
Il documento, che è destinato al prossimo negoziato di Bali, è composto di una parte introduttiva che riporta anche conclusioni e raccomandazioni, un paragrafo che fa il quadro sulle potenzialità di riduzione nazionali e sui problemi e opportunità che si pongono, un paragrafo che contiene gli ulteriori approfondimenti al quadro precedente sulle analisi nazionali dei paesi industrializzati, un paragrafo che analizza il ventaglio delle possibili percorsi di riduzione delle emissioni dopo in 2012 (quantità da ridurre e tempi di attuazione), in relazione ai diversi obiettivi di stabilizzazione delle concentrazioni atmosferiche di gas serra, e di incremento della temperatura media globale. Infine vi è un paragrafo dedicato alle informazioni scientifiche da rendere disponibili e delle informazioni che i singoli paesi dovrebbero dare in relazione ai loro piani di sviluppo e di riduzione progressiva delle emissioni. Chiude il documento un paragrafo di sintesi conclusiva.
La discussione dei vari paragrafi, è stata, a volte anche accesa, ma il documento, come rilevato dal presidente dell'assemblea, non rappresenta né un documento di impegni, né un documento per la predisposizione di impegni. In effetti, anche se non è ancora disponibile, è un documento che non quantifica impegni di riduzione, ma analizza i pro e i contro di varie ipotesi di riduzione e di uso dei meccanismi flessibili, ed in particolare illustra i possibili scenari potenziali di riduzione delle emissioni correlati ai costi/benefici economici e alla diverse circostanze nazionali (possibili problemi ed opportunità) dei paesi che dovrebbero attuare gli impegni dopo il 2012.
Alcuni delegati hanno chiesto che nelle conclusioni del documento si formulassero anche raccomandazioni su alcune opzioni piuttosto che altre, su alcuni scenari piuttosto che altri, ma siccome non vi è accordo, probabilmente, da questo punto di vista il documento rimarrà neutro, oppure, come è più probabile, accompagnato da una grande quantità di parentesi quadre (nel linguaggio delle Nazioni Unite le frasi riportate in parentesi quadre significano che non hanno trovato il consenso di tutti).
Infine, va rilevato un certo disappunto delle associazioni non governative:
1) le associazioni non governative ambientaliste, perchè non si dà alcuna indicazione sulla necessità ed urgenza di procedere rapidamente nei prossimi 20 anni a ridurre le emissioni drasticamente (fino al 40%) in modo da evitare il surriscaldamento del pianeta oltre i 2°C, ritenuto il limite oltre il quale si manifestano effetti climatici irreversibili e danni tali da influire gravemente sullo sviluppo socio economico ed il benessere umano.
2) Le associazioni non governative degli industriali, perchè il processo del post-Kyoto continua a permanere troppo vago ed indefinito, e questo influisce negativamente sugli investimenti di lungo periodo che si possono fare, e su come farli.
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Vincenzo Ferrara
ENEA

INCENDI BOSCHIVI UNA CALAMITA’ MEDITERRANEA
Da tempo chiediamo, invano, l’attenzione delle autorità italiane sui risvolti negativi dell’effetto serra che cominciano pesantemente a farsi sentire su tutto il bacino del Mediterraneo.
Tra questi gli incendi boschivi.
Di questo triste fenomeno ci si ricorda solo a luglio e ad agosto, poi a settembre e ottobre problemi "più impellenti" dei nostri politici-zar e dei media gettano la solita cortina di oblio e, così, si ricomincia da capo ogni estate.
Con questo trend di aumento della temperatura su tutto il pianeta, e sul bacino del Mediterraneo in particolare, non si può più agire come si è fatto fino ad oggi. Servono iniziative serie e decise.

Il caldo eccessivo, mesi e mesi di siccità, il vento torrido africano e la mano criminale dei piromani e quella sbadata dei cacciatori, degli agricoltori, dei turisti e dei fumatori, sono ingredienti maledettamente esplosivi, di cui dobbiamo tenerne conto sempre di più.

Di questo passo tra 20 anni i pochi boschi rimasti dei Paesi mediterranei come: Grecia, Italia cento meridionale, Spagna meridionale e Turchia, lasceranno il posto al deserto.
E’ una realtà questa prospettata anche dall’IPCC nell’ultima riunione di Parigi.
Pertanto non si possono combattere gli incendi solo all’ultimo istante, con l’uso dei mezzi aerei che gettano il più delle volte acqua di mare su un terreno già martoriato dal fuoco.
Questa operazione non fa altro che accelerare il processo di sterilizzazione del terreno, anticamera del deserto.

E’ necessario invece che le autorità di tutti questi Paesi del Mediterraneo a rischio adottino nuove strategie, tra queste quella che noi di Accademia Kronos abbiamo da tempo prospettato: presidiare le aree boschive a rischio incendio.

In estate giovani volenterosi potrebbero ripetere l’esperienza che il vecchio Kronos 1991 aveva adottato tanti anni fa sia all’Argentario che all’Isola D’Elba: lasciare squadre di volontari ogni giorno a presiedere le zone che per vari motivi: morfologici, vegetazionali e antropici, risultano più a rischio incendio.

Intervenire su un focolaio d’incendio entro 30 minuti può evitare l’estensione delle fiamme a tutto un bosco.

Arrivarci dopo la mezzora o, peggio, dopo una o più ore, è impossibile fermare il fuoco.

Al momento la Direzione di Accademia Kronos ha presentato il progetto "Presidio dei Boschi" sia ai ministeri competenti che al Presidente Napolitano. Attendiamo una risposta per poterci organizzare per la prossima estate.

Intanto AK ha attivato i propri avvocati per essere presente come parte civile nei vari procedimenti legali contro i piromani.

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