La cremazione a Bologna ed in Italia.
Una storia nella storia a cura di Guido Stanzani
La So.Crem di Bologna fu fondata nel 1889 con lo scopo di diffondere la pratica crematoria, intesa, a quell'epoca, come uno strumento polemico nei confronti di una più che millenaria cultura cattolica che aveva identificato nell'inumazione la modalità esclusiva di seppellimento dei defunti.Un nucleo di "liberi pensatori" diede vita a un'associazione il cui statuto fu deliberato dalle assemblee dei soci del 23 e 28 gennaio 1899 e modificato da quelle del 22 giugno, 27 luglio e 25 ottobre 1899.Lo statuto fu approvato con Regio Decreto del 19 novembre 1899, che eresse l'Associazione in "Ente Morale", come venivano chiamate, a quel tempo, le persone giuridiche riconosciute senza fini di lucro e con autonomia patrimoniale idonea a escludere la personale responsabilità patrimoniale degli amministratori il cui volontario apporto doveva essere istituzionalmente gratuito.Quell'ordinamento relegava la cremazione in una sfera di mera libertà dell'individuo; coloro che volevano potevano farlo, ma a loro cura e spese, e furono proprio costoro che si aggregarono dando vita all'Associazione.Sullo stesso modello di quella bolognese altre ne sorsero nel Nord Italia; la maggior parte di queste ultime, però, non costruì forni ma si limitò a una funzione paranotarile di raccolta e di conservazione delle disposizioni crematorie degli aderenti, le cui salme venivano cremate negli impianti territorialmente più vicini.Durante il secolo che seguì, la So.Crem di Bologna (le cui assemblee del 26 dicembre 1954 e 1° aprile 1979 apportarono allo statuto modifiche marginali) cremò, nel forno a legna installato a proprie spese nell'Ara edificata dal Comune nella Certosa monumentale, le salme degli iscritti che, con il versamento di modeste quote annuali, ne consentirono la sopravvivenza. Occorreva, allora, una mezza giornata almeno per eseguire una cremazione e le spese venivano sostenute dai superstiti, come quelle per l'urna dove conservare le ceneri; in quei decenni, le persone non iscritte all'Associazione che disposero per testamento di essere cremate – fra costoro va ricordato Andrea Costa – furono in numero limitato, e i loro superstiti sopportarono, per regola stabilita dagli statuti associativi, oneri più elevati di quelli previsti per cremare le salme dei soci.Durante il primo secolo di vita di questi enti, per la quasi totalità concentrati territorialmente nel Nord Italia, si possono individuare due categorie di persone che si dedicarono a un impegno così particolare: la prima, di impostazione culturale liberal-massonica, ne costituì in prevalenza la dirigenza; la seconda, di stampo marcatamente socialista, tese a dedicarsi alla gestione delle operazioni pratiche.Sia l'una che l'altra si trovarono accomunate dalla vocazione al volontariato e dall'ispirazione anticlericale; un connubio partecipativo non infrequente in molti altri settori del nostro Paese nell'arco storico che comprende la seconda metà dell'Ottocento e la prima del Novecento, in tutti i casi in cui culture con obiettivi abbastanza antinomici rispetto ai grandi progetti sociali si sono saldate nella collaborazione per la difesa e l'affermazione dei diritti fondamentali dell'individuo.Nel 1889 vennero cremate, presso l'Ara di Bologna, due salme; la media fu poi di venti all'anno fino al 1970; nel decennio dal 1980 al 1990 (si vedrà che l'anno cruciale fu il 1987) la media si innalzò fino a sfiorare le trecento cremazioni; in seguito, l'andamento ha assunto una progressione quasi geometrica, al punto che nel 2003 le salme cremate hanno sfiorato il numero di 1.900, ovvero il 26% dei decessi dei residenti a Bologna a fronte di una media nazionale che supera di poco il 6%.
Nel 1987 si verificò un evento che produsse un cambiamento radicale dell'intero settore: in quell'anno il legislatore italiano (legge n. 440 del 29 ottobre) qualificò la cremazione come un diritto della persona, elevandola al rango di pubblico servizio nella dichiarata sua equiparazione all'inumazione in campo comune statuendo, come logica conseguenza, l'addossamento ai Comuni dei relativi oneri.In coerenza, un decreto ministeriale dell'anno successivo determinò le tariffe provvisorie di spesa che i Comuni erano tenuti a pagare agli impianti crematori per il servizio reso in favore dei defunti già residenti nei relativi territori; le tariffe definitive e il criterio del loro adeguamento nel tempo sono stati fissati con decreto ministeriale del 2002.Nel settembre 1990 il legislatore pose in essere un secondo e non meno significativo intervento: col regolamento di polizia mortuaria varato in quell'anno stabilì che, per procedere alla cremazione, era sufficiente l'iscrizione a un'associazione riconosciuta che si proponesse il fine di cremare le salme oppure la dichiarazione testamentaria della propria volontà crematoria o, anche e più semplicemente, l'attestazione dei parenti, espressa attraverso atto notorio, che il defunto aveva manifestato in vita la volontà di essere cremato.Se si pensa che la forza congente di un testamento dipende dai tempi di una pubblicazione notarile che si esauriscono, di regola, a inumazione ormai avvenuta, e che la volontà dei parenti non ha nulla a che vedere con quella del defunto, è evidente l'incisività di una norma che identifica l'intento crematorio del singolo col fatto stesso dell'iscrizione a un'associazione riconosciuta qualificata dal fine di cremare le salme.La norma, che in tempi recenti ha trovato conferma nella legge del 2001 (che ha dettato una completa disciplina della cremazione e della dispersione delle ceneri), non ha soltanto conferito alla So.Crem un ruolo istituzionale nell'ordinamento sin ad allora inesistente, ma ha dotato il diritto dell'individuo al rispetto della sua volontà della più rapida e formidabile tutela nell'identificarne l'intento espresso con l'iscrizione all'Associazione col mandato a un terzo, strutturalmente organizzato, a porre in essere tutte le iniziative idonee per portarlo a buon fine l'incarico.
Se lo Stato italiano intervenne per la prima volta sul problema della cremazione nell'anno 1987, la Chiesa cattolica aveva eliminato da tempo il presupposto delle antiche polemiche anticlericali perché già nel 1963 aveva riconosciuto la legittimità della pratica purché "non scelta per motivi contrari alla dottrina cristiana" ed aveva autorizzato riti nella sala crematoria, col solo limite di "(...) evitare (...) pericolo di scandalo o d'indifferentismo religioso".Anche per effetto della caducazione della preclusione religiosa, si produsse, nei centri ad alta densità abitativa e a partire dalla fine degli anni ottanta, una vera e propria "esplosione" delle richieste crematorie stimolata dalla saturazione delle aree cimiteriali e dai crescenti costi delle tumulazioni.Gli apparati comunali, colti di sorpresa, adottarono, quasi per stato di necessità, la soluzione più semplice con l'attribuire in concessione l'esercizio di questo nuovo servizio pubblico alle associazioni crematorie già fornite di forni, poco più di dieci in Italia, e tutte al nord di Roma.La legge, nello stabilire infatti che gli impianti di futura creazione sarebbero potuti essere realizzati soltanto dai Comuni, fece salve le situazioni esistenti col risultato che le poche SO.CREM operative beneficiarono di una favorevole occasione poiché, agli introiti costituiti dai versamenti degli iscritti e assoggettati ad un regime fiscale di favore, si aggiunse il reddito di impresa dei pagamenti dei Comuni.La SO.CREM di Bologna, dotatasi tra il 1989 e il 1991 di due nuovi moderni forni a gas, stipulò nel 1992 una convenzione di durata decennale col Comune, con pattuita riduzione della tariffa ministeriale del 25%, sulla cui base prese ad esercitare il pubblico servizio nel territorio. Convenzioni analoghe furono poste in essere con Comuni limitrofi.
Si verificò dunque, in pochi anni, un cambiamento tanto radicale da imporre una decisa riflessione sulla natura e sulla finalità dell'antico "Ente Morale" e, ancor più, sul significato dell'associazionismo cremazionista.Apparve evidente, quanto meno alla Dirigenza della SO.CREM Bolognese, che un'Associazione privata senza scopo di lucro mal si conciliava, con gli introiti garantiti dalle erogazioni comunali e che l'originario proposito propagandistico-diffusivo della cremazione vedeva sfumare il proprio significato in uno Stato che aveva incluso la funzione fra i propri servizi.Al tempo stesso, era chiaro che perdeva senso un volontariato ispirato ad un esoterismo massonico la cui proposta "polemica" era stata spenta dall'atteggiamento "laico" della Chiesa e dello Stato e la cui concezione ritualistica del "fuoco purificatore" si dissolveva nel non tener conto del fatto che un "rito" non si inventa né si impone ma costituisce il prodotto di una cultura sedimentata non appartenente ad un popolo, quale quello italiano, che si stava avvicinando alla pratica crematoria per esclusive ragioni sociali ed economiche.Né era dato più cogliere la spinta della già spontanea e disinteressata partecipazione di militanze rispettose delle regole severe della lotta di classe in una situazione in cui i Comuni italiani si facevano carico degli oneri delle cremazioni consentendo al percettore significativi margini di lucro.Non vedere tutto questo, come la maggior parte delle SO.CREM italiane e la stessa Federazione Nazionale non videro e, forse, trovarono comodo non vedere, avrebbe ineluttabilmente indotto prevedibili comportamenti di mera conservazione rispetto ai quali sarebbe stato forte il sospetto dell'interesse e, comunque, del mantenimento di una tradizione acriticamente frusta; pericolo tanto più rilevante in presenza di Statuti associativi che imponevano ai dirigenti la gratuità degli apporti personali dei partecipi. La riflessione indusse così a un dilemma senza alternative: estinzione dell'Associazione per esaurimento o rifondazione per riscoprirne l'identità col perseguimento di nuovi scopi coerenti ai mutamenti sociali.La SO.CREM di Bologna ritenne che un obiettivo più che mai pressante, la tutela dei diritti civili e naturali della persona, ed una metodologia da rivitalizzare, lo strumento della mutualità, non ponessero dubbi sulla risposta.Giunse a questa conclusione considerando che la priorità dei nuovi tempi non consisteva nel propagandare, per diffonderlo, un modello che si stava imponendo da solo né nel farlo in nome di fuorvianti supporti ideologici o dell'invenzione di nuovi che tentavano di riprodurre romantiche e vuote concezioni ottocentesche (tipiche le teorizzazioni sul "ritorno alla natura") quanto piuttosto nel mettere a fuoco le esigenze dei singoli interessati al problema facendosi portavoce e attore delle loro esigenze.L'elaborazione che ne seguì partì dalla premessa che ragioni di concretezza suggerivano di liberarsi, da un lato, da ogni idealismo pregiudiziale e di assumere, dall'altro, ogni iniziativa idonea a far si che in uno Stato privo di una cultura cremazionista di massa e, cioè, del primo strumento di garanzia rappresentato dal controllo sociale dei cittadini, si scivolasse sul piano inclinato che avrebbe rischiato di orientare il fenomeno, fra la generale distrazione, nella logica dello smaltimento dei rifiuti.Si individuò quindi l'obiettivo del proprio modo di operare nei comportamenti e nelle iniziative volte alla più efficace tutela della dignità del singolo e dei sentimenti dei superstiti nell'insindacabile rispetto delle idee di ciascuno ed indipendentemente da credenze, fedi, ideologie, e motivazioni spiritualistiche rispetto alle quali la cremazione costituisce, al pari dell'inumazione e a ben guardare, un fenomeno neutro, perché vien prima di esse.Fu facile, a questo punto, mettere a fuoco che il modo di operare in null'altro poteva, e doveva, esprimersi se non nel porre in disponibilità degli aderenti un forte mezzo solidaristico indirizzando le risorse economiche a fini di mutualità sicché gli utili dell'unione potessero tradursi in servizi che il singolo cittadino non avrebbe altrimenti potuto ottenere.Su questi propositi e per perseguire questi scopi fu riscritto il nuovo Statuto deliberato dalle Assemblee dei Soci del 7 marzo 1992, del 5 marzo 1994 e del 29 aprile 1995 e approvato con decreti del Presidente della Giunta Emilia Romagna del giugno 1992, del giugno 1994 e del settembre 1995.Nacquero, in quegli anni, servizi nuovi e importanti quali: il tempestivo controllo dei decessi e, quindi, la possibilità di intervento dell'Associazione per il rispetto della volontà dell'iscritto; la sovraintendenza alla commemorazione dei defunti presso l'Ara Crematoria; la gratuita fornitura di urne di particolare qualità e valore economico; l'accollo da parte dell'Associazione di tasse cimiteriali e di oneri economici delle certificazioni di morte; le agevolazioni sulle spese dei funerali e su prestazioni mediche, riabilitative e termali; quelle sui servizi bancari; la messa in disponibilità dei Soci della Assicurazione delle Esequie; la capillare informazione attraverso l'invio della rivista periodica che fu la prima nell'intero panorama cremazionista italiano; la custodia delle ceneri per chi ne disponesse la dispersione con impegno a provvedere non appena lo avesse consentito la legge.
Il servizio socialmente più significativo, anche in una prospettiva futura, che l'Associazione attivò in quegli anni fu però quello di farsi carico dell'incarico, da parte delle sempre più numerose persone sole, della gestione del funerale e, in alternativa e secondo la volontà degli interessati, della dispersione delle ceneri e della collocazione dell'urna.Due scelte alternative, la dispersione ovvero la conservazione delle ceneri, degne di assoluta tutela perché rientranti entrambe nella sfera dei diritti primari della persona.Il riconoscimento del diritto alla dispersione è stato perseguito dalla SO.CREM di Bologna assumendo ogni iniziativa nelle sedi appropriate, ed è stato anche per effetto di queste sollecitazioni e proposte che si è giunti al suo riconoscimento con la legge n. 130 del 2001.La legge non è ancora oggi operativa per la mancata emanazione del regolamento attuativo che un legislatore poco accorto ha previsto come indispensabile.Non è però peccato di ottimismo la previsione di non essere ormai lontani dal giorno in cui la dispersione delle ceneri potrà essere liberamente attuata nella terra, nei fiumi e nei mari d'Italia come sta avvenendo da un secolo nei paesi più avanzati, e più laici, dell'Occidente.L'alternativa alla collocazione dell'urna, per coloro che prediligono questa scelta, ha convinto da tempo l'Associazione a sostenere un forte movimento di sostegno affinché ciò avvenga su colonne o mensole in spazi cimiteriali accessibili e aperti, così da evitarne il degrado, valorizzandone le monumentalità, con progressiva limitazione della attuale forma di seppellimento dell'urna nei piccoli loculi, anonimi e tristi, chiamati "colombai", che costituiscono gli omologhi dei "tombini" per i tumulati.La maggior parte dei cimiteri italiani è già naturalmente predisposta per diventare luogo di accoglienza dei resti cremati di tutti coloro che, per cultura antica, privilegino la memoria alla dispersione.Si tratta di una esigenza forte di memoria che, per tradizione secolare, vide il clero e gli aristocratici "conservati" nelle sepolture delle chiese, e poi la borghesia, dopo aver conquistato il potere, nei monumenti che si eresse "fuor dalle mura" quando prese coscienza, sull'onda napoleonica, che gli spazi delle chiese non ne avrebbero potuto soddisfare la volontà conservativa perché insufficienti rispetto all'entità numerica dei propri componenti.La massa formata dalle classi che, due secoli dopo, si è elevata dall'indigenza che per millenni le impose sepolture in campi comuni negandole il privilegio della memoria, ne sta rivendicando il diritto, degno di gran rispetto, un diritto che il rapporto col territorio non potrà che esaudire per la via obbligata della cremazione con un percorso simile a quello con cui lo esaudirono i borghesi quando costruirono i cimiteri al di fuori dalle mura cittadine.Lo stimolo emotivo del singolo "borghese", l'esigenza della memoria, è stato storicizzato con l'immagine della pubblica necessità igienica; tutto porta a pensare che l'immagine ecologica svolgerà la stessa funzione quando si racconterà dei giorni nostri.E non è utopia pensare che possano essere creati, in futuro, veri e propri cinerari di quartiere nelle tante chiese sconsacrate, e inutilizzate, che costellano la più gran parte delle città italiane.
Nel 1994 l'Associazione bolognese, forte, all'epoca, di quasi tredicimila iscritti, assunse il nuovo nome di "SO.CREM Bologna", per distinguersi, anche formalmente, dalle altre organizzazioni crematorie aderenti alla Federazione Italiana delle Società per la Cremazione, dalla quale recedette il 30 settembre 1992 non condividendone il mantenimento di una impostazione ideologica esoterico-spiritualista ormai consegnata alla storia e l'assoluta insensibilità ai mutamenti che avevano investito in Italia l'essenza dell'istituto della cremazione e, quindi, natura e scopi dell'associazionismo cremazionista nel decennio a ridosso del Duemila.La SO.CREM Bologna aderì, invece e in quegli anni, alla Federazione Internazionale di Cremazione (ICF), con sede in Londra e partecipazione delle strutture cremazioniste del mondo intero. Anche autorevoli esponenti della Federazione Internazionale parteciparono, insieme ad alti prelati della Chiesa cattolica, ad uomini politici e di cultura e a rappresentanti di numerose amministrazioni comunali italiane, al Convegno che l'Associazione organizzò all'Isola d'Elba nel maggio 1997 sul tema "I problemi cimiteriali nell'Europa postindustriale" gli atti del cui dibattito vennero pubblicati nel novembre 1997 in un volume che contribuì non poco ai contenuti e al varo della legge che, nel 2001, disciplinò l'intera materia della cremazione e della dispersione delle ceneri.Agli inizi dell'anno 1998, su iniziativa e sovvenzione economica dell'Associazione fu pubblicato il libro "La Certosa di Bologna - immortalità della memoria"; una serie di saggi storico-artistici con corredo di un'ampia documentazione fotografica. Nel 2001, sempre su iniziativa e sovvenzione economica dell'Associazione, venne pubblicato il volume "Guida" della Certosa di Bologna il cui successo è stato tale che ne è in corso la ristampa.
Il 1° gennaio 1998 entrò in vigore il decreto legislativo che introdusse in Italia la nuova disciplina degli Enti non commerciali senza scopo di lucro; l'Assemblea dei Soci della SO.CREM bolognese tenutasi il 19 aprile 1998 apportò immediatamente coerenti modifiche allo Statuto che fu approvato con decreto del luglio 1998 del Presidente della Giunta Emilia Romagna.Approssimandosi la scadenza decennale della convenzione stipulata col Comune di Bologna nell'anno 1992, l'Ente territoriale la rinnovò per un biennio e, in quella sede, fu previsto un ulteriore e sensibile abbattimento del contributo erogato dal Comune per ciascuna cremazione e, quindi, un non trascurabile beneficio economico per la collettività.
Si era ormai prossimi però ad una serie di eventi produttivi di sconvolgimenti, e riassetti, non previsti e non prevedibili.Un gruppo di questi eventi ebbe natura legislativa.Nel dicembre del 2000 entrò in vigore la legge che regolamentò la c.d. associazioni di promozione sociale, quelle strutture cioè, che per essere destinate a svolgere, senza finalità di lucro, attività di utilità sociale a favore di associati o di terzi, possono fruire di agevolazioni da parte dello Stato e degli Enti pubblici territoriali nel perseguimento dei loro scopi istituzionali con facoltà di operare anche commercialmente purché in coerenza col raggiungimento degli stessi.La nuova figura normativa si attagliava perfettamente alle caratteristiche della SO.CREM tanto che furono modestissime le modifiche apportate dall'Assemblea del 7 aprile 2001 per l'adeguamento dello Statuto che fu approvato, poi, con Determinazione del Dirigente della Regione Emilia Romagna nel novembre 2003.La legge finanziaria dell'anno 2000 costituì invece la fonte di un cambiamento ancora una volta epocale nella materia funeraria col porre a carico dei superstiti gli oneri della cremazione, sostenuti dai Comune dal 1987, nonché quelli delle inumazioni in campo comune, che erano state sopportati dagli Enti territoriali sin dal momento dell'unità d'Italia.Fu allora che l'Associazione che, non lo si dimentichi, gestiva nel territorio bolognese il pubblico servizio crematorio, deliberò di sollevare i superstiti dei propri Soci dalla spese della cremazione che per costoro rese gratuita nella previsione, convinta, anche se probabilmente ottimistica, di realizzare, quanto meno, un pareggio del proprio bilancio con gli incassi delle cremazioni delle salme dei non iscritti.Senonché, dietro alla porta, si annidava l'imprevisto.Con delibera assunta il 30 ottobre 2002 il Consiglio Comunale di Bologna deliberò di demandare ad una società per azioni controllata dal Comune stesso (all'epoca SEABO S.p.A. ed oggi Hera S.p.A.) la gestione di tutti i servizi cimiteriali territoriali ivi compreso il pubblico servizio della cremazione; e questo ad onta della riconosciuta competenza dell'Associazione, degli ottimi risultati realizzati, dei vantaggi economici dell'Ente pubblico nel decennio di durata della convenzione.In quel momento fece premio, sull'amarezza, la volontà di sopravvivenza di una dirigenza confortata dall'appoggio e dal mandato assembleare dell'aprile 2003.
Impugnata in sede giudiziaria da parte dell'Associazione la delibera comunale, una laboriosa trattativa durata l'intero primo semestre del 2003 con Hera S.p.A. si è conclusa con la creazione di una società per azioni (Herasocrem) titolare del servizio crematorio nel territorio e partecipata da Hera per il 51% del capitale e da SO.CREM Bologna (attraverso una propria società a responsabilità limitata) per il 49%. I patti fra le parti hanno previsto le più ampie tutele per il socio di minoranza.Il risultato è stato possibile anche perché l'Associazione, che pur nel decennio convenzionato aveva fornito ai Soci notevoli servizi, anche di pregio economico, era riuscita ad accantonare somme consistenti in cui difetto non sarebbe stata possibile la partecipazione, con Hera, ad una società fortemente capitalizzata perché nata con il primario obiettivo, che è già oggi in fase di avanzata preparazione e che ha costituito per la SO.CREM il vero stimolo di pervenire all'accordo con un contraente economicamente forte, di costruire nel Cimitero di Borgo Panigale un Polo crematorio nuovo, moderno e dotato, fra l'altro, di una sala per le cerimonie funebri. L'azienda che, partendo da zero, era stata creata dall'Associazione nel corso degli ultimi dieci anni, è stata conferita alla nuova Società - HERA ha versato una somma corrispondente al valore del conferimento - che, una volta realizzata e ammortizzata l'opera, sotto ogni aspetto straordinaria, del nuovo Polo, potrà produrre utili che, acquisiti dall'Associazione per la quota del 49%, le consentiranno una rinnovata vita economica futura prevedibilmente significativa quanto quella di gestione diretta del pubblico servizio; più riduttivamente e comunque: un'ipotesi di sopravvivenza trentennale (questo il periodo di conferimento ad Hera da parte del Comune) a fronte, in caso l'accordo con Hera non si fosse concluso, di una ineluttabile estinzione.Ciascuno può comprendere, però, che nella nuova situazione, tutto l'Associazione poteva continuare a permettersi salvo il mantenimento di quel servizio della gratuità della cremazione in favore dei Soci introdotto nell'anno 2001 quando era titolare del pubblico servizio e nulla ne faceva prevedere il venir meno.Per questo il servizio è stato, necessariamente anche se dolorosamente, sospeso; consola il fatto che se non si fosse realizzata la nuova situazione societaria si sarebbe dovuto parlare di definitiva cessazione e mai di sospensione.L'operazione è stata consentita dall'essere la SO.CREM Bologna una associazione di promozione sociale autorizzata, come si è detto, a svolgere anche attività commerciali purché coerenti ai propri fini istituzionali; in tal senso gli ultimi ritocchi allo Statuto deliberati dall'Assemblea del 5 aprile 2003 ed approvati, al pari di quelli dell'anno 2001, con Determinazione del Dirigente della Regione Emilia Romagna del novembre 2003.Oggi la SO.CREM Bologna è, dunque e per così dire, tornata alle origini con lo scopo istituzionale, primario e essenziale, per cui l'iscrizione costituisce legale manifestazione della volontà crematoria come da consacrazione normativa espressa dal Regolamento di polizia mortuaria del 1990 e ribadita dalla legge n. 130 del 2001.La SO.CREM Bologna può anche, e ancora, permettersi di fornire non pochi servizi, improntati alla mutualità, in favore dei propri Soci.Ma, in futuro e per trent'anni almeno, l'Associazione potrà ragionevolmente realizzare un forse ben più importante obiettivo in linea con quanto accade, da tempo, e per associazioni similari, in quei Paesi del Nord Europa in cui la pratica cremazionista ha tradizione ultracentenaria. Fra i patti, che compongono il complesso accordo che regolamenta oggi in Bologna esercizio e gestione dell'attività di cremazione, vi è l'impegno dei contraenti di garantire all'Associazione la gratuita disponibilità, a tempo indeterminato, di un locale ad uso ufficio nel complesso del nuovo Polo crematorio che sorgerà nel Cimitero di Borgo Panigale.Il significato di questa garanzia non è soltanto quella di dar modo all'Associazione di concretizzare, gratuitamente, la propria presenza nel luogo deputato alle attività crematorie nel comprensorio bolognese, ma di individuarne una presenza attiva per il miglior rispetto dei diritti della persona che colà vengono in gioco: la tutela della dignità dell'individuo e del sentimento della "pietas" dei superstiti.E senza spingersi a pensare alla prevedibile possibilità di organizzare futuri e innovativi servizi – su tutti quello di dar vita ad una organizzazione che consenta ai superstiti, qualunque ne sia il ceto, di veder celebrato laicamente il proprio defunto – è reale l'ipotesi che l'Associazione riesca a ritagliarsi il ruolo di una sovraintendenza, attenta e attiva, sulle modalità gestionali delle pratiche funerarie cittadine a tutela di quei diritti primari della persona le cui difese si affievoliscono, sin quasi a svanire, di fronte al lutto, come di fronte alla malattia e alla detenzione.In termini moderni si parlerebbe di "Autority"; nel solco di un cammino ormai bicentenario si può rivitalizzare il nome "Ente Morale" dei padri fondatori.
Bologna, 2004
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