L'ossessione nera che fa vecchio Obama
• da Corriere della Sera del 10 gennaio 2008, pag. 42
http://www.radicali.it/view.php?id=113628
di Christopher Hitchens
L’interrogativo, in termini nudi e crudi, suona così: il segreto sta in ciò che egli è o in ciò che non è? Oppure, parafrasando: a fare la differenza è quel che egli dice o quel che, non dice?
Il senatore dell'Illinois Barack Obama è l'odierno beneficiario di un vero e proprio tsunami di idiozie.
L'uomo invoca di tanto in tanto la fiducia di tutti gli americani — senza distinzione di razza, colore della pelle, credo religioso e compagnia bella — ma inneggia anche — stando almeno ai suoi discorsi più recenti — a una vittoria per la comunità nera, il tutto mentre i suoi sostenitori — quelli di pelle bianca in primis — si commuovono all'idea di insediare finalmente un afro-americano alla Casa Bianca.
Restano un po' in disparte i guru elettorali di Hillary Clinton che, incapaci di suscitare lo stesso entusiasmo e orgoglio identitario attorno a questa donna raggrinzita e permalosa, forse rimpiangono di non aver puntato a sufficienza sull'idea che, in realtà, «il nostro primo presidente nero» fu proprio il suo sbandato consorte.
O forse no.
Nessuno avverte una nota patetica e imbarazzante, in tanta enfasi attorno a sfumature così banali?
E perché mai, a dirla tutta, chi ha avuto una madre di pelle bianca andrebbe annoverato tra i neri?
A questo sono valsi tutti gli sforzi e i sacrifici profusi per superare la sentenza Plessy-Ferguson e proclamare l'illegittimità della segregazione razziale?
Saremmo forse pronti, ipotizzando che sua madre vantasse anche origini ebraiche, a incoronare Obama quale «primo presidente ebreo» degli Stati Uniti d'America?
Più si insisterà nel celebrare la mera identità di Obama come una «conquista», più si darà prova dell'incapacità di emanciparsi dalle vecchie categorie identitarie che hanno imprigionato il pensiero illuminato.
Non si può propriamente sostenere che lo stesso senatore Obama strizzi l'occhio a quanti tirano in ballo il colore della pelle.
Uno tra i capitoli più interessanti della sua affascinante autobiografia racconta il giorno in cui Alan Keyes, il suo sfidante repubblicano (e nero) nelle elezioni a senatore dell'Illinois, lo accusò di non possedere sufficiente «negritudine», non essendo un discendente degli schiavi d'America!
Scegliendo di accusare il colpo a cuor — pardon, color — leggero, Obama è riuscito a segnare una pietra miliare. Non si rischia, tuttavia, di ricadere nell1 insulso errore di Keyes ogni qual volta sbandieriamo la pigmentazione del senatore?
Se tanta era la voglia di un presidente (o almeno un vice) «nero», già molti anni fa si sarebbe potuto incoronare en masse Angela Davis (che fu anche, tra l'altro, la prima donna a candidarsi in una lista nazionale) — o i reverendi Jesse Jackson o Al Sharpton. Perché, dunque, nulla di tutto ciò è avvenuto? La politica, forse, ha fatto la sua parte?
Si dà il caso che, appena la scorsa settimana, il Kenya — Paese d'origine del padre di Obama — sia stato sconvolto da scontri politici contrassegnati da spiacevoli derive ispirate dal tribalismo più violento e sadico.
Ebbene, dinanzi agli elogi verso un candidato «nero», un keniota resterebbe perplesso quanto lo sarebbero tutti (o quasi) i miei lettori europei se invitati a votare per la «grande speranza bianca».
E se un turista di pelle bianca in Kenya non sarebbe probabilmente in grado di distinguere a colpo d'occhio un Kikuyu da un Luo, un keniota lo farebbe senza alcuna difficoltà.
Si è ormai definitivamente conclusa l'epoca in cui, negli Stati Uniti, un polacco-americano non avrebbe mai votato per un candidato di nome tedesco, o in cui gli Sharks di «West Side Story» erano ai ferri corti con i Jets. Tutto ciò è dovuto al fatto che (mutuando la definizione di nazione coniata da Ernest Renan) si è consensualmente deciso di dimenticare parecchie cose, tenendone a mente altre.
E noi, in quale direzione ci stiamo muovendo oggi?
Il senatore Barack Obama è membro della Trinity United Church of Christ di Chicago.
Vi consiglio caldamente un giro da brivido sul suo sito web (www.tucc.org).
Guidata dal tipo di individuo che la stampa sovente (e cautamente) tratteggia come flamboyant—il sedicente reverendo dottor Jeremiah A. Wright Jr. — questa stravagante gang si autodefinisce «orgogliosamente nera e fieramente cristiana» (www.tucc.org/about.htm) e predica di un «popolo eletto» la cui natura è, con tutta evidenza, «afrocentrica».
La stessa congregazione vende libri ispirati al creazionismo, e sulla home page del suo sito web campeggia un link a «Goodsearch» (wiyw.goodsearch.com), un motore di ricerca — con tanto di aureola a suggello del logo — che annuncia con trionfante euforia: «Ogni volta che cerchi o compri on line la nostra Chiesa si arricchisce!»-.
Tutto (o quasi) ciò che la Trinity United predica è innocuo e soporifero, un po' come i demenziali proclami del governatore Mike Huckabee, per cui il suo successo in Iowa è paragonabile al «miracolo» dei pani e dei pesci.
Senza tralasciare, poi, che lo stesso sito web propone al visitatore un volume intitolato «Bad girls of the Bible. Exploring women of questionable virtue» (Cattive ragazze della Bibbia: un viaggio attorno a figure femminili di discutibile virtù), che ho subito aggiunto al mio carrello.
Resta il fatto, però, che nessuno — e per nessuna ragione — può pretendere di venire preso sul serio e, al contempo, avere minimamente a che fare con un contesto così dozzinale e retrivo.
E tutto il facile chiacchiericcio intorno al leader che unisce e non divide perde ogni significato, se un giorno si dice una cosa e quello successivo il suo esatto contrario.
Il sottoscritto brontola ormai da mesi davanti a personaggi come Mitt Romney, che deve ancora rispondere a una sfilza di interrogativi relativi al retroterra assolutamente razzista della Chiesa cui appartiene o Huckabee, il quale ha mostrato pubblicamente di non comprendere neppure il fondamento di un principio — la teoria-spartiacque dell'evoluzione attraverso la selezione naturale — in cui sostiene di non credere.
Non pochi democratici mi danno ragione al riguardo ma diventano improvvisamente muti allorché il senatore Obama decide di giurare fedeltà a una Chiesa di fanatici e con una profonda connotazione etnica.
Il tacito accordo in virtù del quale la comunità nera viene consegnata all'egida dei predicatori, costituisce di per sé una forma di accondiscendenza razzista.
E l'incauta santificazione di Martin Luther King jr. ha dato adito a una grossolana rilettura storica che cancella i grandi eroi (bianchi e neri) laici — Bayard Rustin, A. Philip Randolph e Walter Reuther — che organizzarono di fatto la marcia su Washington. Ma ha anche accordato un lasciapassare a tutti quei demagoghi che, in un modo o nell'altro, riescono a fregiarsi del titolo di «reverendo».
Gli elettori di pelle bianca che, seppure inconsciamente, indulgono all'idea che la comunità nera non desideri niente di meglio che prestar fede ai predicatori, non soltanto calpestano la dignità dei loro fratelli e sorelle di colore, ma danno anche man forte ai ministri o diaconi di pelle bianca che ricorrono allo stesso stratagemma, da Jimmy Carter a Mike Huckabee.
Prima del New Hampshire, i caucus dell' Iowa di inizio 2008 non avevano messo il suggello al vecchio incubo razziale dell'America, bensì segnato l'ennesima tappa di un lungo e travagliato periplo attorno alla devozione, all'«elevazione» e ai bifidi parolai dell'ottimismo.
NOTE
© Christopher Hitchens,
distribuito da The New York Times Syndicate
Traduzione di Enrico Del Sero
1 commento:
barack obama lo ritengo odioso,si sente tutto lui con la faccia da presa per i fondelli quel suo masticare la gomma..mi da l'idea più di un terrorista che di un politicante mentre hillary mi sembra l'immagine perfetta della donna politica che si batte per i diritti altrui e poi è americana per eccellenza l'america le scorre nel sangue ha a cuore la gente i bambini le vecchine tutti tutti gli americani il cognome clinton è americano mentre barack obama rappresenta tutto fuorchè un presidente !
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