Le donne cambiano la Storia, cambiamo i libri di Storia.

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LE DONNE CAMBIANO LA STORIA, CAMBIAMO I LIBRI DI STORIA
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15 giugno 2018

Adesione alla terza giornata nazionale di digiuno per l'abolizione dell'ergastolo

La Costituzione della Repubblica Italiana all'articolo 13, comma quarto, stabilisce che "e' punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di liberta'", e all'articolo 27, comma terzo, stabilisce che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanita' e devono tendere alla rieducazione del condannato", ed al comma quarto del medesimo articolo ribadisce che "non e' ammessa la pena di morte".

 Con tali chiare frasi dichiara la flagrante illiceita' della pena dell'ergastolo:
ogni essere umano ha diritto alla vita e alla dignita'.

Per chiedere con forza al Parlamento Italiano l'abolizione dell'ergastolo, nella giornata internazionale dedicata dall'Onu alle vittime della tortura,  martedi' 26 giugno 2018 parteciperò ancora alla giornata nazionale di digiuno collettivo.

Invito chi mi legge a fare altrettanto.
Alba Montori

29 luglio 2017

NPSG Newsletter luglio 2017

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luglio 2017
Direttore resp.: Nicola Giovannini
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 Notizie
Giornata della Giustizia Penale Internazionale: NPSG chiede un maggiore impegno nella lotta contro l’impunità
 
Bruxelles - Roma, 17 luglio 2017
Lo scorso anno è stato particolarmente arduo sia per la giustizia internazionale che per la Corte Penale Internazionale essendo stato teatro di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidi, iniziati e continuati ad essere perpetrati in numerosi paesi e colpendo le popolazioni più vulnerabili del mondo. In particolare, durante la seconda meta del 2016, tre stati membri dello Statuto di Roma hanno formalmente dichiarato la loro intenzione di recedere dallo Statuto della Corte e, contemporaneamente, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha continuato a rimanere arenato nello sviluppo di una concreta contro misura ai crimini commessi in Siria, nonostante i tremendi eventi che stavano accadendo ad Aleppo.
 
Queste due situazioni sono anche diventate occasioni che hanno portato la comunità internazionale a mobilitarsi per chiedere giustizia e schierarsi dalla parte delle vittime. Durante l’annuale Assemblea  degli Stati membri della Corte Penale Internazionale, nel Novembre del 2016, gli Stati membri hanno colto l’occasione per ribadire il loro forte supporto per la CPI e, in generale, per la giustizia internazionale, dichiarando che non permetterebbero che i principi sui cui lo Statuto di Roma si fonda siano sacrificati a causa dell’ostruzionismo politico. 
 
Il mese successivo ha visto l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, guidata dal Liechtenstein, iniziare ad agire in Siria laddove il Consiglio di Sicurezza ONU era stato incapace di farlo e creando il cosiddetto Meccanismo Internazionale, Imparziale e Indipendente (IIIM o Meccanismo) per supportare le investigazioni e la prosecuzione dei crimini commessi in Siria. Nonostante sia un piccolo passo, questa è stata la prima azione concreta presa dall’intera comunità internazionale per iniziare il percorso verso l’identificazione dei crimini commessi in Siria e le relative riparazioni per le vittime.
 
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Bahrein: NPWJ condanna con forza il processo farsa e la pena detentiva contro Nabeel Rajab
 
Bruxelles – Roma, 11 luglio 2017
Non c’è Pace Senza Giustizia (NPSG) condanna con forza la decisione della Sezione Penale del  Tribunale di primo grado del Bahrein per aver condannato Nabeel Rajab, in contumacia, a due anni di reclusione per le interviste che ha condotto tra il 2015 e 2016. Esprimiamo la nostra immutata solidarietà e supporto per Rajab, che ha ininterrottamente portato avanti proteste pacifiche e combattuto per un sistema politico in Bahrain che sia giusto e democratico.
 
La scioccante decisione di ieri non è altro che un altro esempio dell’implacabile determinazione delle autorità del Bahrain a criminalizzare la libertà di parola e silenzio e a soffocare ogni pacifico dissenso attraverso un abuso di processi e, infine, usando impropriamente il potere giudiziale e dei poteri della polizia. Gli atti allegati alle accuse contro Rajab non solo non sono riconducibili a alcun illecito penale secondo il diritto internazionale dei diritti umani, ma sono anche una minaccia al pacifico godimento della libertà di espressione, diritto protetto a livello internazionale, e, più in generale, alla promozione e la protezione dei diritti umani.
 
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CPI / Sudafrica: la Corte conferma l’inadempimento dell'obbligo di arrestare il presidente Al Bashir
 
Bruxelles - Roma, 6 luglio 2017
« Siamo lieti che con la decisione presa oggi, la CPI abbia risolto la faccenda » ha dichiarato Alison SmithDirettrice del Programma sulla Giustizia Penale Internazionale di Non c’è Pace Senza Giustizia. « Per noi, è sempre stato ovvio che il Sud Africa stesse violando l’ obbligo di arrestare il Presidente al-Bashir e di consegnarlo alla CPI affinchè fosse processato. Non c’è mai stato un conflitto di leggi: lo Statuto di Roma, il diritto internazionale consuetudinario ed anche il diritto nazionale del Sud Africa sono chiari sul fatto chel’immunità dei Capi di Statonon si applica ai crimini  di diritto internazionale, specialmente quando i mandati di arresto sono rilasciati dalla Corte dell’Aia. »
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 Eventi
Conferenza “Tortura: mettere a tacere gli attivisti anti-schiavitù di IRA Mauritania”
 
Centro ROSOCHA, Bruxelles, 29 Giugno 2017
Il 29 giugno 2017, IRA Mauritania ha organizzato un dibattito al centro Rosocha a Bruxelles dal titolo “Tortura: mettere a tacere gli attivisiti anti-schiavitù di IRA Mauritania”.  All’evento, hanno partecipato diversi rappresentanti di IRA Mauritania, tra cui Biram Dah Abeid, Presidente di IRA-Mauritania, nonchè Niccolò Figà-Talamanca, Segretario Generale di Non c’è Pace senza Giustizia.
 
L’evento si è tenuto con lo scopo di accrescere la consapevolezza sul tema della schiavitù e discutere dell’arresto di 13 membri di IRA Mauritania in occasione di una protesta organizzata il 29 giugno 2016 contro l’espropriazione forzata di alcune famiglie da una baraccopoli nel quartiere di Ksarn a Nouakchoutt, capitale della Mauritana.
 
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Conferenza “Ninive dopo l'ISIS: la risposta europea”
 
Parlamento europeo, Bruxelles, 6 giugno 2017
La conferenza “Ninive dopo l'ISIS: la risposta europea”, organizata il 6 giugno al Parlamento europeo per discutere la situazione post-ISIS in Iraq è terminata con un generale consenso su un ampio apparato di misure e azioni per far tornare gli sfollati nelle loro case e iniziare la ricostruzione. Tenendo presente che l’imminente caduta di Mosul non significa “Game Over” per le Istituzioni Europee e gli stati membri, la conferenza ha sviluppato sette priorità principali per l’Europa e le autorità irachene per la fase “post-ISIS” del conflitto in Iraq. 
 
La conferenza è stata ospitata dai Membri del Parlamento Europeo Ana Gomes e Elmar Brok e organizzata in collaborazione con Non c'è Pace Senza Giustizia (NPSG), l’Institute for International Law and Human Rights (ILHIR), la Konrad-Adenauer-Stiftung, l’Organizzazione dei Popoli e delle Nazioni non Rappresentati (UNPO) e Minority Rights Group International (MRG). L'evento ha riunito alti rappresentanti del Governo Iracheno, della regione autonoma del Kurdistan iracheno, delle Nazioni Unite, delle Istituzioni Europee, parlamentari europei e iracheni, e rappresentanti della società civile irachena.
 
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 NPSG su radio Radicale
Rubrica di Non c'è Pace Senza Giustizia
 
Ogni mercoledi alle 23h30
Non c’è Pace Senza Giustizia e Radio Radicale, la principale emittente radiofonica nazionale che si occupa di temi di attualità politica, sono impegnati da tempo in una stretta collaborazione al fine di diffondere notizie ed informazioni sulle nostre campagne ad un ampio pubblico italiano. Tale collaborazione ha in particolare dato vita ad una rubrica settimanale di approfondimento sulle campagne ed attività in corso di NPSG. Il programma va in onda ogni mercoledi sera alle 23.30.

Ascolta gli ultimi episodi
 Comunicati Stampa di Non c'è Pace Senza Giustizia
 Dicono di Noi

 
Will Christians return to Mosul post-Islamic State?
by Diana Chandler, Baptist Press, 19 July 2017
Civilian Casualties Mount in Battle to Re-take Mosul
Mark Lattimer, The Wire, 8 June 2017
Se in Siria non si persegue la via della giustizia non ci sarà più pace né ricostruzione
Marco Perduca e Gianluca Eramo, Huffington Post, 6 April 2017
Armi chimiche, stragi di Idlib, Siria
Radio Radicale, 5 April 2017
Siria. Le voci della società civile
Spazio Transnazionale, Radio Radicale, 4 April 2017
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Per ulteriori informazioni visita il nostro sito: www.npwj.org/it

6 luglio 2017

CIA, BILDERBERG, BR, BRITANNIA: ECCO A VOI LA VERA STORIA ITALIANA


di Nino Galloni

Il primo colpo storico contro l’Italia lo mette a segno Carlo Azeglio Ciampi, futuro presidente della Repubblica, incalzato dall’allora ministro Beniamino Andreatta, maestro di Enrico Letta e “nonno” della Grande Privatizzazione che ha smantellato l’industria statale italiana, temutissima da Germania e Francia. E’ il 1981: Andreatta propone di sganciare la Banca d’Italia dal Tesoro, e Ciampi esegue. Obiettivo: impedire alla banca centrale di continuare a finanziare lo Stato, come fanno le altre banche centrali sovrane del mondo, a cominciare da quella inglese. Il secondo colpo, quello del ko, arriva otto anno dopo, quando crolla il Muro di Berlino. La Germania si gioca la riunificazione, a spese della sopravvivenza dell’Italia come potenza industriale: ricattati dai francesi, per riconquistare l’Est i tedeschi accettano di rinunciare al marco e aderire all’euro, a patto che il nuovo assetto europeo elimini dalla scena il loro concorrente più pericoloso: noi, l’Italia.

A Roma non mancano complici: pur di togliere il potere sovrano dalle mani della “casta” corrotta della Prima Repubblica, c’è chi è pronto a sacrificare l’Italia all’Europa “tedesca”, naturalmente all’insaputa degli italiani.

È la drammatica ricostruzione di Nino Galloni, già docente universitario, manager pubblico e alto dirigente di Stato.

All’epoca, nel fatidico 1989, Galloni era consulente del governo su invito dell’eterno Giulio Andreotti, il primo statista europeo che ebbe la prontezza di affermare di temere la riunificazione tedesca. Non era “provincialismo storico”: Andreotti era al corrente del piano contro l’Italia e tentò di opporvisi, finche potè. Poi a Roma arrivò una telefonata del cancelliere Helmut Kohl, che si lamentò col ministro Guido Carli: qualcuno “remava contro” il piano franco-tedesco.

Galloni si era appena scontrato con Mario Monti alla Bocconi e il suo gruppo aveva ricevuto pressioni da Bankitalia, dalla Fondazione Agnelli (facenti anche loro parte del gruppo Bilderberg) e da Confindustria. La telefonata di Kohl fu decisiva per indurre il governo a metterlo fuori gioco. «Ottenni dal ministro la verità», racconta l’ex super-consulente, ridottosi a comunicare con l’aiuto di pezzi di carta perché il ministro «temeva ci fossero dei microfoni». Sul “pizzino”, scrisse la domanda decisiva: “Ci sono state pressioni anche dalla Germania sul ministro Carli perché io smetta di fare quello che stiamo facendo?”. Eccome: «Lui mi fece di sì con la testa».



Questa, riassume Galloni, è l’origine della “inspiegabile” tragedia nazionale nella quale stiamo sprofondando. I super-poteri egemonici, prima atlantici e poi europei, hanno sempre temuto l’Italia. Lo dimostrano due episodi chiave. Il primo è l’omicidio di Enrico Mattei, stratega del boom industriale italiano grazie alla leva energetica propiziata dalla sua politica filo-araba, in competizione con le “Sette Sorelle”.

E il secondo è l’eliminazione di Aldo Moro, l’uomo del compromesso storico col Pci di Berlinguer assassinato dalle “seconde Br”: non più l’organizzazione eversiva fondata da Renato Curcio ma le Br di Mario Moretti, «fortemente collegate con i servizi, con deviazioni dei servizi, con i servizi americani e israeliani». Il leader della Dc era nel mirino di killer molto più potenti dei neo-brigatisti: «Kissinger gliel’aveva giurata, aveva minacciato Moro di morte poco tempo prima» (Kissinger è anche l’assassino di Salvador Allende).

Tragico preambolo, la strana uccisione di Pier Paolo Pasolini, che nel romanzo “Petrolio” aveva denunciato i mandanti dell’omicidio Mattei, a lungo presentato come incidente aereo. Recenti inchieste collegano alla morte del fondatore dell’Eni quella del giornalista siciliano Mauro De Mauro. Probabilmente, De Mauro aveva scoperto una pista “francese”: agenti dell’ex Oas inquadrati dalla Cia nell’organizzazione terroristica “Stay Behind” (in Italia, “Gladio”) avrebbero sabotato l’aereo di Mattei con l’aiuto di manovalanza mafiosa. Poi, su tutto, a congelare la democrazia italiana avrebbe provvedutola strategia della tensione, quella delle stragi nelle piazze.

Alla fine degli anni ‘80, la vera partita dietro le quinte è la liquidazione definitiva dell’Italia come competitor strategico: Ciampi, Andreatta e De Mita, secondo Galloni, lavorano per cedere la sovranità nazionale pur di sottrarre potere alla classe politica più corrotta d’Europa. Col divorzio tra Bankitalia e Tesoro, per la prima volta il paese è in crisi finanziaria: prima, infatti, era la Banca d’Italia a fare da “prestatrice di ultima istanza” comprando titoli di Stato e, di fatto, emettendo moneta destinata all’investimento pubblico. Chiuso il rubinetto della lira, la situazione precipita: con l’impennarsi degli interessi (da pagare a quel punto ai nuovi “investitori” privati) il debito pubblico esploderà fino a superare il Pil. Non è un “problema”, ma esattamente l’obiettivo voluto: mettere in crisi lo Stato, disabilitando la sua funzione strategica di spesa pubblica a costo zero per i cittadini, a favore dell’industria e dell’occupazione. Degli investimenti pubblici da colpire, «la componente più importante era sicuramente quella riguardante le partecipazioni statali, l’energia e i trasporti, dove l’Italia stava primeggiando a livello mondiale».
Al piano anti-italiano partecipa anche la grande industria privata, a partire dalla Fiat, che di colpo smette di investire nella produzione e preferisce comprare titoli di Stato: da quando la Banca d’Italia non li acquista più, i tassi sono saliti e la finanza pubblica si trasforma in un ghiottissimo business privato. L’industria passa in secondo piano e – da lì in poi – dovrà costare il meno possibile. «In quegli anni la Confindustria era solo presa dall’idea di introdurre forme di flessibilizzazione sempre più forti, che poi avrebbero prodotto la precarizzazione» (il piano lo stà ultimando Renzi con il suo Job Acts). Aumentare i profitti: «Una visione poco profonda di quello che è lo sviluppo industriale».

Risultato: «Perdita di valore delle imprese, perché le imprese acquistano valore se hanno prospettive di profitto». Dati che parlano da soli. E spiegano tutto: «Negli anni ’80 – racconta Galloni – feci una ricerca che dimostrava che i 50 gruppi più importanti pubblici e i 50 gruppi più importanti privati facevano la stessa politica, cioè investivano la metà dei loro profitti non in attività produttive ma nell’acquisto di titoli di Stato, per la semplice ragione che i titoli di Stato italiani rendevano tantissimo e quindi si guadagnava di più facendo investimenti finanziari invece che facendo investimenti produttivi. Questo è stato l’inizio della nostra deindustrializzazione».

Alla caduta del Muro, il potenziale italiano è già duramente compromesso dal sabotaggio della finanza pubblica, ma non tutto è perduto: il nostro paese – “promosso” nel club del G7 – era ancora in una posizione di dominio nel panorama manifatturiero internazionale. Eravamo ancora «qualcosa di grosso dal punto di vista industriale e manifatturiero», ricorda Galloni: «Bastavano alcuni interventi, bisognava riprendere degli investimenti pubblici».

E invece, si corre nella direzione opposta: con le grandi privatizzazioni strategiche, negli anni ’90 «quasi scompare la nostra industria a partecipazione statale», il “motore” di sviluppo tanto temuto da tedeschi e francesi. Deindustrializzazione: «Significa che non si fanno più politiche industriali». Galloni cita Pierluigi Bersani: quando era ministro dell’industria «teorizzò che le strategie industriali non servivano». Si avvicinava la fine dell’Iri, gestita da Prodi in collaborazione col solito Andreatta e Giuliano Amato. Lo smembramento di un colosso mondiale: Finsider-Ilva, Finmeccanica, Fincantieri, Italstat, Stet e Telecom, Alfa Romeo, Alitalia, Sme (alimentare), nonché la BancaCommerciale Italiana, il Banco di Roma, il Credito Italiano.

Le banche, altro passaggio decisivo: con la fine del “Glass-Steagall Act” nasce la “banca universale”, cioè si consente alle banche di occuparsi di meno del credito all’economia reale, e le si autorizza a concentrarsi sulle attività finanziarie peculative. Denaro ricavato da denaro, con scommesse a rischio sulla perdita. E’ il preludio al disastro planetario di oggi. In confronto, dice Galloni, i debiti pubblici sono bruscolini: nel caso delle perdite delle banche stiamo parlando di tre-quattromila trilioni.

Un trilione sono mille miliardi: «Grandezze stratosferiche», pari a 6 volte il Pil mondiale. «Sono cose spaventose». La frana è cominciata nel 2001, con il crollo della new-economy digitale e la fuga della finanza che l’aveva sostenuta, puntando sul boom dell’e-commerce. Per sostenere gli investitori, le banche allora si tuffano nel mercato-truffa dei derivati: raccolgono denaro per garantire i rendimenti, ma senza copertura per gli ultimi sottoscrittori della “catena di Sant’Antonio”, tenuti buoni con la storiella della “fiducia” nell’imminente “ripresa”, sempre data per certa, ogni tre mesi, da «centri studi, economisti, osservatori, studiosi e ricercatori, tutti sui loro libri paga».

Quindi, aggiunge Galloni, siamo andati avanti per anni con queste operazioni di derivazione e con l’emissione di altri titoli tossici. Finché nel 2007 si è scoperto che il sistema bancario era saltato: nessuna banca prestava liquidità all’altra, sapendo che l’altra faceva le stesse cose, cioè speculazioni in perdita. Per la prima volta, spiega Galloni, la massa dei valori persi dalle banche sui mercati finanziari superava la somma che l’economia reale – famiglie e imprese, più la stessa mafia – riusciva ad immettere nel sistema bancario. «Di qui la crisi di liquidità, che deriva da questo: le perdite superavano i depositi e i conti correnti». Come sappiamo, la falla è stata provvisoriamente tamponata dalla Fed, che dal 2008 al 2011 ha trasferito nelle banche – americane ed europee – qualcosa come 17.000 miliardi di dollari, cioè «più del Pil americano e più di tutto il debito pubblico americano».

Va nella stessa direzione – liquidità per le sole banche, non per gli Stati – il “quantitative easing” della Bce di Draghi, che ovviamente non risolve la crisi economica perché «chi è ai vertici delle banche, e lo abbiamo visto anche al Monte dei Paschi, guadagna sulle perdite». Il profitto non deriva dalle performance economiche, come sarebbe logico, ma dal numero delle operazioni finanziarie speculative: «Questa gente si porta a casa i 50, i 60 milioni di dollari e di euro, scompare nei paradisi fiscali e poi le banche possono andare a ramengo». Non falliscono solo perché poi le banche centrali, controllate dalle stesse banche-canaglia, le riforniscono di nuova liquidità. A monte: a soffrire è l’intero sistema-Italia, da quando – nel lontano 1981 – la finanzia pubblica è stata “disabilitata” col divorzio tra Tesoro e Bankitalia. Un percorso suicida, completato in modo disastroso dalla tragedia finale dell’ingresso nell’Eurozona, che toglie allo Stato la moneta ma anche il potere sovrano della spesa pubblica, attraverso dispositivi come il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio.

Per l’Europa “lacrime e sangue”, il risanamento dei conti pubblici viene prima dello sviluppo. «Questa strada si sa che è impossibile, perché tu non puoi fare il pareggio di bilancio o perseguire obiettivi ancora più ambiziosi se non c’è la ripresa». E in piena recessione, ridurre la spesa pubblica significa solo arrivare alla depressione irreversibile. Vie d’uscita? Archiviare subito gli specialisti del disastro – da Angela Merkel a Mario Monti – ribaltando la politica europea: bisogna tornare alla sovranità monetaria, dice Galloni, e cancellare il debito pubblico come problema. Basta puntare sulla ricchezza nazionale, che vale 10 volte il Pil. Non è vero che non riusciremmo a ripagarlo, il debito. Il problema è che il debito, semplicemente, non va ripagato: «L’importante è ridurre i tassi di interesse», che devono essere «più bassi dei tassi di crescita». A quel punto, il debito non è più un problema: «Questo è il modo sano di affrontare il tema del debito pubblico». A meno che, ovviamente, non si proceda come in Grecia, dove «per 300 miseri miliardi di euro» se ne sono persi 3.000 nelle Borse europee, gettando sul lastrico il popolo greco.

Domanda: «Questa gente si rende conto che agisce non solo contro la Grecia ma anche contro gli altri popoli e paesi europei? Chi comanda effettivamente in questa Europa se ne rende conto?». Oppure, conclude Galloni, vogliono davvero «raggiungere una sorta di asservimento dei popoli, di perdita ulteriore di sovranità degli Stati» per obiettivi inconfessabili, come avvenuto in Italia: privatizzazioni a prezzi stracciati, depredazione del patrimonio nazionale, conquista di guadagni senza lavoro. Un piano criminale: il grande complotto dell’élite mondiale. «Bilderberg, Britannia, il Gruppo dei 30, dei 10, gli “Illuminati di Baviera”: sono tutte cose vere», ammette l’ex consulente di Andreotti.

«Gente che si riunisce, come certi club massonici, e decide delle cose». Ma il problema vero è che «non trovano resistenza da parte degli Stati». L’obiettivo è sempre lo stesso: «Togliere di mezzo gli Stati nazionali allo scopo di poter aumentare il potere di tutto ciò che è sovranazionale, multinazionale e internazionale». Gli Stati sono stati indeboliti e poi addirittura infiltrati, con la penetrazione nei governi da parte dei super-lobbysti, dal Bilderberg agli “Illuminati”. «Negli Usa c’era la “Confraternita dei Teschi”, di cui facevano parte i Bush, padre e figlio, che sono diventati presidenti degli Stati Uniti: è chiaro che, dopo, questa gente risponde a questi gruppi che li hanno agevolati nella loro ascesa».

Non abbiamo amici. L’America avrebbe inutilmente cercato nell’Italia una sponda forte dopo la caduta del Muro, prima di dare via libera (con Clinton) allo strapotere di Wall Street. Dall’omicidio di Kennedy, secondo Galloni, gli Usa «sono sempre più risultati preda dei britannici», che hanno interesse «ad aumentare i conflitti, il disordine», mentre la componente “ambientalista”, più vicina alla Corona, punta «a una riduzione drastica della popolazione del pianeta» e quindi ostacola lo sviluppo, di cui l’Italia è stata una straordinaria protagonista.

L’odiata Germania? Non diventerà mai leader, aggiunge Galloni, se non accetterà di importare più di quanto esporta. Unico futuro possibile: la Cina, ora che Pechino ha ribaltato il suo orizzonte, preferendo il mercato interno a quello dell’export. L’Italia potrebbe cedere ai cinesi interi settori della propria manifattura, puntando ad affermare il made in Italy d’eccellenza in quel mercato, 60 volte più grande. Armi strategiche potenziali: il settore della green economy e quello della trasformazione dei rifiuti, grazie a brevetti di peso mondiale come quelli detenuti da Ansaldo e Italgas.

Prima, però, bisogna mandare a casa i sicari dell’Italia – da Monti alla Merkel – e rivoluzionare l’Europa, tornando alla necessaria sovranità monetaria. Senza dimenticare che le controriforme suicide di stampo neoliberista che hanno azzoppato il paese sono state subite in silenzio anche dalle organizzazioni sindacali. Meno moneta circolante e salari più bassi per contenere l’inflazione? Falso: gli Usa hanno appena creato trilioni di dollari dal nulla, senza generare spinte inflattive. Eppure, anche i sindacati sono stati attratti «in un’area di consenso per quelle riforme sbagliate che si sono fatte a partire dal 1981». Passo fondamentale, da attuare subito: una riforma della finanza, pubblica e privata, che torni a sostenere l’economia.

Stop al dominio antidemocratico di Bruxelles, funzionale solo alle multinazionali globalizzate. Attenzione: la scelta della Cina di puntare sul mercato interno può essere l’inizio della fine della globalizzazione, che è «il sistema che premia il produttore peggiore, quello che paga di meno il lavoro, quello che fa lavorare i bambini, quello che non rispetta l’ambiente né la salute». E naturalmente, prima di tutto serve il ritorno in campo, immediato, della vittima numero uno: lo Stato democratico sovrano. Imperativo categorico: sovranità finanziaria per sostenere la spesa pubblica, senza la quale il paese muore. «A me interessa che ci siano spese in disavanzo – insiste Galloni – perché se c’è crisi, se c’è disoccupazione, puntare al pareggio di bilancio è un crimine».


http://www.lastoriavariscritta.it/nino-galloni-vera-storia-ditalia/#sthash.2dchUX1A.UI37yHxM.dpbs

23 gennaio 2017

Settimana della Memoria 2017

Settimana della Memoria, le iniziative per non dimenticare gli orrori nazisti

E’ dedicata a Vittorio Cimiotta – uno  tra i fondatori e animatori della Casa della Memoria e della Storia, recentemente scomparso - l’edizione 2017 della Settimana della Memoria, con le iniziative che dal 23 gennaio al 1 febbraio la Casa organizza intorno al 27 gennaio, Giorno della Memoria. 
Istituito nel 2000 dal Parlamento Europeo, ricorda lo sterminio del popolo ebraico, dei Sinti e Rom, degli omosessuali, dei Testimoni di Geova e l’eliminazione dei deportati militari e politici nei campi nazisti. Nello stesso giorno del 1945, l’abbattimento dei cancelli di Auschwitz da parte dei soldati russi ha posto fine al genocidio e fatto conoscere al mondo gli orrori perpetrati dai nazisti.

Settimana della Memoria 2017
La Casa della Memoria e della Storia di Roma, come ogni anno, dedica a questa pagina della storia italiana, europea e mondiale un programma di attività - dal 23 gennaio al 1 febbraio - con proiezioni di film, documentari, testimonianze, conferenze, letture e presentazioni di libri e una mostra organizzate con l’apporto delle Associazioni residenti (ANPI, ANED, ANEI, ANPPIA, FIAP, IRSIFAR e Circolo G. BOSIO) e delle Biblioteche di Roma.

Prosegue fino al 27 gennaio la mostra Sopravvissuti Ritratti | Memorie | Voci dedicata ai sopravvissuti ai lager (vedi nostra news).

Settimana della Memoria
 23 gennaio - 1 febbraio
Casa della Memoria e della Storia
via San Francesco di Sales 5
da lunedì a venerdì 9.30-20
ingresso libero fino a esaurimento posti disponibili

Informazioni 06 6876543 – 060608

18 GEN 2017 – PR

2 febbraio 2016

….. accade a Milano

Leggi e Linguaggio : un gioco da ragazzi.

  da ArcipelagoMilano 27 gennaio 2016 

Poche righe ben scritte. Chiare e comprensibili: “almeno qui non fumare” e ancora: “il giardino è di tutti, tieni pulito”. Non servono frasi lunghe e involute o citazioni latine che sono sempre molto cool.

I piccoli cittadini di Zona 1, nell’ambito del progetto “Ragazzi in zona. I Consigli di Zona dei ragazzi e delle ragazze di Milano”, hanno pensato di tradurre il regolamento comunale del verde e ne hanno riscritto le regole nel linguaggio corrente. Ora  all’ingresso del Giardino Bazlen,  tra Corso di Porta Romana e Corso di Porta Vigentina, è possibile apprezzare i sei “spot” fatti e disegnati da loro su un cartellone metallico e colorato, illuminato dall’insolito sole di gennaio.
Eccone alcuni: “bici si, macchine no”, “non si deve sporcare dove si vuole giocare”, “solo i cani col guinzaglio possono muoversi per il parco!”, “proteggete l’ambiente: non vi costa niente! ”.
Accanto alle regole, corredate da disegni altrettanto convinti e accompagnati dai loghi del Comune e della Zona 1, sta andando in scena una lezione di legalità e una, altrettanto preziosa, sull’uso corretto del linguaggio pubblico.

Una lezione, quella sulla comunicazione istituzionale, dedicata a tutti quelli che invece ancora scrivono che le persone vengono “ tratte in salvo”, che gli articoli di legge “recitano, che la medicina “si assume, che la multa viene “elevata e la sanzione “irrogata.
Il burocratese, sottospecie perversa del legalese, vive di queste frasi che sono buone per Zelig, non per le leggi e gli atti amministrativi. Non è il cabaret il luogo giusto per mettere in scena il matrimonio che si“contrae, le denunce che si “sporgono e  le dimissioni che si “rassegnano ?

Cosa hanno fatto i ragazzi della zona 1?
 Hanno allineato, con coerenza, il linguaggio parlato e quello scritto, utilizzando certo le forme dell’imperativo, stretti com’erano tra ovvie necessità di sintesi e l’univocità di un messaggio che vuole togliere ogni alibi anche a chi è solito buttare a terra il mozzicone di sigaretta. Ed infatti in un cartello-fumetto in campo bianco, circondato da un disegno nero, compare la scritta “almeno qui non fumare”.
Sappiamo che ci sarà sempre chi violerà le regole per farsi gli affari propri a danno degli altri. Tuttavia per fare in modo che tutti siano nelle condizioni di poterle almeno conoscere, per poterle poi rispettare, occorre pretendere che le regole siano scritte chiaramente e che non si debba aver bisogno di un Alan Turing per risolvere “l’enigma” o che si debba invocare il “mondo  salvato dai ragazzini”  di  Elsa Morante.
Il principio per cui la legge non ammette ignoranza ha senso solo se le regole  - che siano contenute in leggi, provvedimenti amministrativi o sentenze - possono essere comprese almeno da chi ha completato l’obbligo scolastico.
Se lo sai spiegare a tua nonna, allora vuol dire che lo sai” raccontava Albert Einstein.

L’età della ragione richiede un linguaggio ragionevole, che certo non è rappresentato dall’oscurità e dalla prolissità dall’attuale linguaggio giuridico come dimostra il decreto “mille” proroghe o la recente legge di stabilità, solo per citare gli ultimi clamorosi e recenti prodotti giuridici.
La legge di stabilità per il 2016 è infatti composta da un solo articolo che comprende tuttavia 999 commi (avete letto bene: 999 commi per un unico articolo di legge).

Il linguaggio giuridico non è un linguaggio come gli altri, è un linguaggio speciale ed è per questo che deve essere normale.
Richiede parole univoche, frasi concise e periodi brevi per regole limpide nel contenuto, forti nel senso, credibili nello scopo e ragionevoli nei mezzi.
Il danno provocato alla comunità da leggi incomprensibili è grande poiché il linguaggio che non si capisce e che non si può parlare è un linguaggio che rende muti.
E’ una questione di potere, di supremazia, di assenza di rispetto, di autistica insofferenza per il cittadino interlocutore.
La parola oscura che crea distanza va sostituita con la parola chiara che crea appartenenza e avvicina.

 Le sentenze non sono da meno, visto che sono pronunciate “in nome del popolo italiano, ma spesso con un linguaggio che proprio quel popolo non può comprendere, e l’esperienza di Fronte Verso (www.fronteverso.it) in questi anni ha  dimostrato, come hanno fatto quei ragazzi, che anche nel diritto si può utilizzare un linguaggio preciso e comprensibile a tutti per contribuire all’accessibilità del diritto, alla semplificazione del linguaggio e alla comunicazione responsabile. Perché conoscere il diritto è un diritto.

by Ileana Alesso e Gianni Clocchiatti,

12 novembre 2015

L’Italia deve porre delle condizioni prima di stringere la mano al regime iraniano

Il Regime Iraniano ha tutte le connotazioni per essere definito CANAGLIA da parte dei paesi civili.

Sarebbe opportuno che i paesi civili, tra cui l'Italia, pretendessero il RISPETTO DEI DIRITTI UMANI da parte del regime Iraniano PRIMA di farci affari di qualsiasi tipo.
O no?
AMg

CAMPAGNA: Perché l’Italia deve porre delle condizioni prima di stringere la mano al regime iraniano | di Alex Zarfati
Con l'accordo siglato tra il mondo e l'Iran - accordo che accontenta tutti tranne quelli minacciati dal nucleare iraniano - arrivano gli accordi economici. Vedere l'Italia prepararsi ad accogliere Hassan Rouhani come fosse un eroe, un premio Nobel o una figura in grado di contribuire "in modo positivo alla pace e sicurezza regionale e internazionale" - parole con le quali l'alto rappresentante della politica estera europea Federica Mogherini salutò l'intesa sul nucleare - è uno spettacolo deprimente. Certo, Roma ha suo bel tornaconto nel mostrarsi condiscendente con la Repubblica Islamica. L'Italia non era nel pacchetto dei paesi che hanno trattato con l'Iran, ma ansiosa di recuperare l'interscambio che aveva prima delle sanzioni, si è affrettata più di altri paesi ad accogliere una delegazione iraniana. Già ad agosto italiani avevano concluso la prima missione ufficiale a Teheran, e altri accordi economici sono previsti a fine novembre. Ma allora se l'Italia ci guadagna, perché essere avversi alla visita di Hassan Rouhani? Facile. Perché nessun accordo economico potrà mai compensare la cecità di fronte alle continue violazioni di diritti civili e delle donne, la tutela delle minoranze, il rispetto dei diritti umani, politici e religiosi in atto in Iran. Per molti è stato tutto chiaro fin da subito: l'operazione simpatia del regime aveva l'obiettivo di portare al ritiro delle sanzioni. La distensione dei rapporti con l'occidente non corrisponde affatto ad un paese più aperto e pronto all'accoglienza che ha cominciato la sua parabola verso il rispetto di certi diritti. Questa visione ottimistica, che vuole presentarci Rouhani come un "moderato" non corrisponde affatto alla realtà
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7 novembre 2015

TRANS: LA CORTE COSTITUZIONALE ACCOGLIE LA POSIZIONE DI CERTI DIRITTI E DICE BASTA ALLA STERILIZZAZIONE COATTA DELLE PERSONE TRANS.

FINALMENTE UNA BELLA NOTIZIA CHE ASPETTAVAMO DA ANNI !!!!

Comunicato stampa

Roma, 6 novembre 2015

La Corte Costituzionale, con sentenza odierna n. 221/2015 ha stabilito che per la rettificazione degli atti anagrafici non è necessario l'intervento di adeguamento degli organi riproduttivi o la sterilizzazione chirurgica della persona transessuale. La Consulta infatti afferma: «L’esclusione del carattere necessario dell’intervento chirurgico ai fini della rettificazione anagrafica appare il corollario di un’impostazione che − in coerenza con supremi valori costituzionali − rimette al singolo la scelta delle modalità attraverso le quali realizzare, con l’assistenza del medico e di altri specialisti, il proprio percorso di transizione, il quale deve comunque riguardare gli aspetti psicologici, comportamentali e fisici che concorrono a comporre l’identità di genere. L’ampiezza del dato letterale dell’art. 1, comma 1, della legge n. 164 del 1982 [ottenuta grazie al contributo decisivo dei radicali, ndr] e la mancanza di rigide griglie normative sulla tipologia dei trattamenti rispondono all’irriducibile varietà delle singole situazioni soggettive.».

«Si tratta del miglior risultato che ci potevamo attendere» commenta l’avv. Alexander Schuster. Il difensore delle tre persone trans che sono protagoniste di altrettanti giudizi pendenti avanti la Corte costituzionale sottolinea anche come «sia stata rigettata l’eccezione di inammissibilità avanzata dalla Presidenza del Consiglio: la Corte costituzionale ha quindi fatto la chiara scelta di entrare nel merito e decidere per la non fondatezza, avallando così nella maniera più ampia possibile l’interpretazione che come studio avevamo sostenuto nei ricorsi tridentini».

"La Consulta, ancora una volta, garantisce un diritto: per la rettifica del sesso l'intervento chirurgico non è necessario, ma è solo un mezzo, se lo si ritiene, per il miglior benessere psicofisico della persona. Con la sentenza 221 depositata oggi si riconosce il diritto di ogni cittadino di scegliere per sé il procedimento medico ritenuto opportuno; e si conferma che l'attribuzione di sesso non dipende dalle caratteristiche "fisiche", ma al contrario dall'auotoriconoscimento della persona", così l’avv. Massimo Clara che ha steso la memoria presentata da Certi Diritti.

Per l’Alta Corte: «Rimane così ineludibile un rigoroso accertamento giudiziale delle modalità attraverso le quali il cambiamento è avvenuto e del suo carattere definitivo. Rispetto ad esso il trattamento chirurgico costituisce uno strumento eventuale, di ausilio al fine di garantire, attraverso una tendenziale corrispondenza dei tratti somatici con quelli del sesso di appartenenza, il conseguimento di un pieno benessere psichico e fisico della persona».

Yuri Guaiana, segretario dell’Associazione Radicale Certi Diritti, dichiara: «Nel giorno di apertura del nostro IX Congresso ad Arezzo siamo felicissimi di poter festeggiare questo successo della nostra strategia. A meno di 15 giorni dal Transgender Day of Rememberance, la ricorrenza che ogni  20 novembre commemorare le vittime dell'odio e del pregiudizio anti-transgender, la Consulta dice finalmente una parola definitiva che supera le sentenze contraddittorie dei vari tribunali italiani (Roma, Rovereto, Siena e Napoli interpretavano già la legge 164 del 1982 nel senso di non considerare obbligatorio alcun intervento chirurgico, mentre altre Corti, tra cui Vercelli e Bologna, andavano nella direzione opposta) e ristabilisce un minimo di certezza del diritto su un tema così fondamentale come il diritto all’identità di genere che la stessa Alta Corte considera elemento costitutivo del diritto all’identità personale, rientrante a pieno titolo nell’ambito dei diritti fondamentali della persona».

Associazione Radicale Certi Diritti 

Via di Torre Argentina, 76, Roma, 00186
Cell: +39 340 4694701| Tel: +39 06 689791

28 ottobre 2015

Facebook ignora gli incitamenti alla violenza....

FACEBOOK IGNORA L'INCITAMENTO ALLA VIOLENZA, GLI ISRAELIANI GLI FANNO CAUSA
Una class action contro Facebook per accusare il social media più famoso al mondo di connivenza con coloro che incitano alla violenza contro gli ebrei. E’ questa la mossa scelta da circa ventimila israeliani che hanno presentato alla Corte Suprema dello Stato di New York un dossier in cui viene sottolineata la negligenza della piattaforma web nel rimuovere i post di incitamento alla violenza. Inoltre secondo i querelanti l’algoritmo di Facebook connetterebbe i fomentatori agli esecutori materiali incoraggiando ulteriormente gli attacchi con coltello contro civili israeliani. Basta una breve ricerca tra i profili dei leader politici e religiosi palestinesi per imbattersi in esplicite esortazioni all’omicidio di ebrei; in alcuni casi vengono addirittura offerte istruzioni precise su come farlo al meglio, ad esempio attraverso disegni anatomici in cui sono segnalate le parti del corpo umano da colpire durante gli accoltellamenti per ottenere il migliore risultato possibile
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29 settembre 2015

Aspettano i suoi 21 anni per decapitarlo e poi crocifiggerlo in piazza.


Ha solo 21 e sta per essere decapitato e poi crocifisso a meno che l’Italia e gli altri partner mondiali dell’Arabia Saudita non si facciano sentire subito. Firma ora, potrebbero giustiziarlo da un momento all’altro:

FIRMA LA PETIZIONE
L’Arabia Saudita sta per decapitare un ragazzo di 21 anni, per poi crocifiggerlo e esporre il suo corpo in piazza. La stessa Arabia Saudita a cui hanno appena affidato il coordinamento della commissione ONU sui diritti umani! Una follia!

Ali Mohammed al-Nimr è stato arrestato a 17 anni per aver preso parte a una manifestazione contro il governo. La reazione è stata durissima, l’hanno torturato e condannato a morte. Ma è un trattamento del tutto normale in Arabia Saudita:quest’anno ci sono già state più di 100 esecuzioni, praticamente una ogni due giorni.

La Francia è l’unico paese che per ora ha chiesto di fermare l’esecuzione. L’Italia assieme a Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna per ora tace, per gli ottimi rapporti con il regime di cui è tra i più grandi partner commerciali. Ma la pressione diretta dei nostri governi è davvero l’unico modo per persuadere i sauditi a fermarsi. Firma subito per salvare Ali, la sua esecuzione può avvenire ormai da un momento all’altro:

https://secure.avaaz.org/it/stop_saudi_beheadings_loc/?bCEdvab&v=65565

Secondo gli esperti di diritti umani, la sentenza di Ali è una “esecuzione arbitraria”, proibita quindi dalla Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia, visto che è stato incarcerato quando era ancora minorenne. Ma all’Arabia Saudita sembra importare ben poco del diritto internazionale: l’unico modo per fermarli è che importi invece ai nostri governi.

L’Italia e molti altri paesi occidentali hanno rapporti commerciali strettissimi con l’Arabia Saudita: o gli vendono le armi, o gli comprano il petrolio, o entrambe le cose! Ma un’ondata di indignazione può convincere i nostri governi ad agire. Già altre volte ha funzionato: qualche mese fa abbiamo rivolto una petizione al Ministro dell’Economia tedesco per fargli fare pressione sui vertici sauditi per fermare le frustate e la possibile esecuzione del blogger Raif Badawi: il Ministro prese una posizione molto netta e oggi Badawi è vivo, anche se ancora in prigione.

Chiediamo al Governo Italiano di intervenire assieme agli altri governi europei e agli USA: che comincino a fare pressione davvero sull’Arabia Saudita, a partire dalla revoca della nomina assurda a presiedere la commissione ONU per i diritti umani a meno che non fermino l’esecuzione.Firma ora, salviamo la vita di Ali:

https://secure.avaaz.org/it/stop_saudi_beheadings_loc/?bCEdvab&v=65565
Ogni volta che i regimi violano diritti umani fondamentali, la nostra comunità si fa sentire. E ora siamo pronti a farlo per Ali.

Con speranza e determinazione,

Alice, Melanie, Marie, Alex, Marigona e tutto il team di Avaaz

FONTI

Giovane saudita condannato a morte: mobilitazione internazionale per salvarlo (Repubblica)
http://www.repubblica.it/solidarieta/diritti-umani/2015/09/24/news/giovane_saudita_condannato_a_morte_mobilitazione_internazionale_per_salvarlo-123580634/

Francia, Hollande contro Riad: «Nessuno tocchi Ali al-Nimr» (Lettera 43)
http://www.lettera43.it/politica/francia-hollande-contro-riad-nessuno-tocchi-nimr_43675216660.htm

La "scandalosa" nomina dell'Onu: l'Arabia Saudita alla presidenza di un panel sui diritti umani (Il Foglio)
http://www.ilfoglio.it/esteri/2015/09/22/onu-larabia-saudita-alla-presidenza-di-un-panel-sui-diritti-umani___1-v-133013-rubriche_c184.htm

ARABIA SAUDITA: RECORD ESECUZIONI DI CONDANNE A MORTE, UNA OGNI DUE GIORNI (Rai News)
http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Arabia-Saudita-record-di-esecuzioni-per-pene-capitali-un-esecuzione-ogni-due-giorni-Denuncia-di-Amnesty-International-83692f92-7228-453a-9aa0-622cbd44fba5.html

Armi da Brescia all’Arabia Saudita, obiettivo Yemen (L’Indro)
http://www.lindro.it/armi-da-brescia-allarabia-saudita-obiettivo-yemen/